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Due minuti di meditazione per ritrovare in un sogno lucido i nostri cari nell’Aldilà

Giulia Jeary Knap, autrice dei libri

L’Aldilá é a portata di mano,  La verità sulla reincarnazione e di altre pubblicazioni riportate nella Pagina Amazon: http://amazon.com/author/giuliajearyknap

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Ho sempre avuto una spiccata curiosità circa tutti i misteri della vita e quello che ci attende dopo la morte, ma fu solo intorno al 1988 che questa curiosità si tramutò in una sorta di emergenza, a causa della perdita di una persona cara, che mi era stata vicina fin dalla nascita. Per la prima volta, a ventisette anni, avevo l’urgenza di controllare di persona che mia nonna stesse bene e fosse al sicuro.

La mia prima scoperta fu che i sogni costituiscono una vera a propria porta che si affaccia su altre dimensioni della coscienza e anche sull’Aldilà, sebbene in quel periodo sembravo non avere il controllo sugli incubi o i sogni confusi di cui lo stato di lutto mi aveva fatto diventare una facile preda.

Ecco perché oggi vorrei parlare dell’importanza dei sogni lucidi e di come la meditazione possa costituire un veloce ponte per ottenere questo scopo.

Un sogno lucido è un sogno in cui siamo consapevoli di sognare. La meditazione, invece, è una pratica piuttosto semplice, per eseguire la quale spesso ci si mette seduti, in condizioni di quiete (in un luogo chiuso oppure all’aperto), con lo scopo di calmare la mente e dirigere la propria attenzione verso l’interno, per escludere sia il chiacchierio interiore che le distrazioni esterne.

A molti capita di avere contatti con i defunti in sogno. Tuttavia, in un sogno in cui si è consapevoli di sognare, diventa molto più facile programmare un incontro con un nostro caro nell’Aldilà, perché abbiamo almeno parzialmente il controllo dell’esperienza.

Il quesito è: perché i contatti con i defunti si verificano più facilmente durante i sogni, i sogni lucidi e la meditazione?

Nel mio libro L’Aldilà è a portata di mano, spiego che:

Come riferito dallo scrittore britannico Aldous Leonard Huxley (1894 – 1963) nel suo breve saggio “Le porte della percezione” (1954), secondo la teoria del filosofo francese Henri-Louis Bergson (1859 – 1941) sulla memoria e sulla percezione dei sensi, la funzione del cervello, del sistema nervoso e degli organi di senso sarebbe principalmente eliminativa e non produttiva (destinata cioè a eliminare informazioni, piuttosto che a produrne). «Chiunque è capace in ogni momento di ricordare tutto ciò che gli è accaduto e di percepire tutto ciò che accade dovunque nell’universo. La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa massa di conoscenza in gran parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior parte di ciò che altrimenti percepiremmo o ricorderemmo in ogni momento, e lasciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere utile in pratica. Secondo questa teoria, ciascuno di noi è potenzialmente l’Intelletto in Genere. Ma in quanto animali, è nostro compito sopravvivere a ogni costo. Per rendere possibile la sopravvivenza biologica, l’Intelletto in Genere deve essere filtrato attraverso la valvola riducente del cervello e del sistema nervoso. Ciò che viene fuori dall’altro capo è il misero rigagnolo della specie di coscienza che ci aiuterà a vivere sulla superficie di questo particolare pianeta…».

Quindi, lo stato ordinario di coscienza sarebbe un misero rigagnolo di nozioni, se raffrontato a quanto saremmo effettivamente in grado di sapere.

La teoria di Bergson è stata ripresa da alcuni studi, quali quelli condotti dal Dott. Stanislav Grof (Praga, 1 luglio 1931), psichiatra e ricercatore nel campo degli stati di coscienza non ordinari, che ribadisce che il cervello avrebbe la funzione di operare come una valvola a riduzione, che ci protegge dall’eccesso di informazioni provenienti dal cosmo in modo da poterci concentrare sulle attività della vita di tutti i giorni.

Con la morte, tale valvola a riduzione cesserebbe di esistere: di qui le testimonianze di tante persone che hanno avuto un’esperienza di premorte e che hanno avuto la sensazione di essere inondati da una conoscenza universale.

Esistono però altre circostanze, come appunto lo stato meditativo o il sogno, che ci permettono di allentare la stretta della nostra valvola a riduzione: in altre parole, quando ci troviamo in un quieto stato meditativo, quando sogniamo, quando stiamo per addormentarci o ci stiamo risvegliando, può capitarci di sapere delle cose, di saperle in modi nuovi, e ciò ci pare del tutto naturale sul momento…

Per poter allentare la valvola a riduzione, è molto importante staccare la spina rispetto alle responsabilità o alle preoccupazioni pratiche del nostro quotidiano, in particolare quelle che richiedono la nostra piena attenzione (come per esempio guidare, cucinare, o anche solo preoccuparsi di ciò che Tizio o Caio possano aver detto o pensato). Nel nostro caso, il nostro scopo non sarà quello di essere inondati da una conoscenza universale, ma semplicemente quello di sintonizzarci su un’altra stazione, passando da uno stato “ordinario” di coscienza a quello che gli studiosi spesso definiscono uno stato “modificato” o “non ordinario” di coscienza. Come un raggio laser, potremo usare questa opportunità per focalizzarci su uno scopo specifico, come per esempio incontrare un nostro caro nel mondo dello spirito.

Poiché la meditazione può consentirci di raggiungere questo scopo, e la meditazione eseguita subito prima di addormentarci può portare a un sogno lucido, ho scoperto che questa tecnica può dare risultati sorprendenti.

Come già indicato, la meditazione è una pratica piuttosto semplice, da svolgersi in un momento in cui siamo ragionevolmente certi che non saremo disturbati e finalizzata a calmare la mente e a favorire la concentrazione. Molti trovano più semplice fare questo esercizio ad occhi chiusi, in  modo da ridurre le distrazioni e dirigere la propria attenzione verso l’interno. Se non vogliamo addormentarci, sarà utile fare l’esercizio in posizione seduta anziché sdraiata, e concentrarci su qualcosa di specifico, come per esempio:

  • seguire o contare i propri respiri (consiglio sempre, durante l’ispirazione e la successiva espirazione, di contare per un numero uguale di secondi, come per esempio 6 per l’inspirazione e 6 per l’espirazione);
  • concentrarci su quel brusio ininterrotto che è possibile sentire nelle orecchie quando tutto tace;
  • ripetizione di una parola o frase significativa;
  • visualizzazione di un luogo sereno.

Nel nostro caso, gli scopi della meditazione sono essenzialmente tre:

  1. Rilassarsi;
  2. Acquietare la mente e il dialogo interiore, scollegandoci temporaneamente dal mondo esterno;
  3. Allentare la valvola a riduzione (funzione che il cervello svolge per consentirci di essere efficienti nei nostri compiti quotidiani) e aumentare in tal modo la consapevolezza interiore che può darci modo di incrementare le opportunità di avere un sogno lucido, fissando bene nella mente il nostro progetto.

Come suggerisce lo scrittore J. Alexander nei suoi libri sul sogno lucido,  cominciare a meditare con sedute di due soli minuti è un ottimo sistema per acquisire questa nuova abitudine (o riprenderla dopo che la si è abbandonata), poiché due minuti sono un impegno tanto breve che non avremmo alcuna scusa per cercare di evitarlo. Inoltre, anche una persona che affronta un periodo di grave lutto e soffre di problemi di concentrazione non si sentirà scoraggiata da un esperimento così breve.

Una volta che avremo avuto modo di assaporare questa esperienza per qualche minuto e ci saremo resi conto dei suoi benefici, potremmo se ci fa piacere ritrovarci ad allungare spontaneamente le sedute.

Esistono tre momenti ideali per impiegare la meditazione al fine di programmare i nostri sogni ed arrivare poi a passare direttamente dallo stato di veglia al sogno lucido senza alcuna interruzione:

  1. Immediatamente prima di andare a letto

Questo è un momento della giornata in cui (salvo nel caso di un pisolino pomeridiano) saremo probabilmente troppo stanchi per passare direttamente alla veglia al sogno lucido. Tuttavia, due minuti di meditazione (specie se sdraiati) ci aiuteranno ad addormentarci e ci daranno l’opportunità di mettere a punto il nostro progetto onirico, che realizzeremo più tardi.

  1. Dopo 5 o 6 ore di sonno

Come ricordare i sogni

A questo punto, quando non è ancora ora di alzarsi ma la mente e il corpo sono già decisamente ristorati rispetto alla sera prima, le opportunità di usare la meditazione per innescare un sogno vivido o lucido sono decisamente più alte. Questo è il momento migliore per riprendere la nostra seduta di meditazione serale e usarla per osservare con distacco quelle fugaci impressioni visive, uditive o percettive che sperimentiamo di solito nello stato ipnagogico, ovvero nel periodo che precede immediatamente l’addormentamento. Questo periodo che viene chiamato anche “sonno crepuscolare” (dal termine “crepuscolo” che separa il giorno dalla notte) è quello che ci accompagna più o meno velocemente dallo stato di veglia a quello di sonno: in altre parole fa da ponte tra uno stato in cui siamo perlopiù consapevoli della realtà fisica e quello in cui il corpo dorme ed è scollegato dalla maggior parte degli stimoli del mondo fisico, dandoci pertanto vivido accesso alle dimensioni più sottili, che vengono definite anche “dimensione astrale” o “mondo dello spirito”.

Con la pratica, scopriremo di poter gradualmente allungare lo stato ipnagogico e di poterci in qualche modo aggrappare alla fase crepuscolare con mente vigile, in modo di accedere ad un sogno in cui siamo consapevoli di sognare senza una vera e propri interruzione della coscienza di veglia. Oppure, potrà capitare di addormentarci, ma di ritrovarci in un sogno molto vivido in cui è facile rendersi conto di stare sognando.

  1. Al mattino quando non abbiamo impegni pressanti o urgenti

Nei fine settimana o nei giorni di festa, quando possiamo crogiolarci a letto un’ora in più senza la preoccupazione della sveglia, potremo sicuramente contare su un beneficio in più, dovuto anche al fatto che la nostra mente e il nostro corpo non saranno solo rilassati, ma sicuramente ancora più ristoranti di quanto potessero esserlo alle 4:00 del mattino. Questo è il momento ideale per fare pratica in libertà.

Naturalmente, tutti i suggerimenti mirati ad ottenere un sogno lucido si applicano ugualmente anche al viaggio astrale o OBE. Infatti, durante un sogno lucido la nostra mente è in uno stato di consapevolezza tale da poter volontariamente e attivante incrementare il nostro stato di vigilanza tramite comandi e/o strategie che possono condurre il sognatore in quello che viene chiamato stato di mente sveglia in corpo addormentato: in tale stato il corpo dorme ed è disconnesso dalla maggior parte degli stimoli del mondi fisico, ma lo stato di veglia sarà molto più acuito, tanto da poter sentire il respiro del corpo che dorme, toccarlo, percepire l’ambientazione astrale in cui ci troviamo e utilizzare un qualsiasi portale per raggiungere la persona che desideriamo incontrare.

L’unica differenza fra sogno lucido e OBE sta nel grado di vigilanza della mente: maggiore lo stato di veglia della mente, più solida e tangibile sarà l’esperienza e maggiore il ricordo al momento del risveglio del corpo.

Un’ultima raccomandazione: che si tratti di sogno, sogno lucido o OBE, è importantissimo prendere rapida nota dei ricordi che si hanno al momento del risveglio, e che potrebbero riemergere anche in un secondo momento, mentre cominciamo la nostra giornata.

Come sbloccare l’IMMAGINAZIONE: il più potente strumento che abbiamo TUTTI a disposizione per ripristinare i contatti con i nostri cari nell’Aldilà

Giulia Jeary Knap, autrice dei libri

L’Aldilá é a portata di mano,  La verità sulla reincarnazione e di altre pubblicazioni riportate nella Pagina Amazon: http://amazon.com/author/giuliajearyknap

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Ci ho messo un po’ a trovare un’immagine che mettesse in rilievo a colpo d’occhio il concetto di fondo che desideravo trasmettere con questo articolo.

Chi mi segue su Twitter, Facebook, Instagram o Pinterest sa che condivido con il pubblico prevalentemente immagini: immagini significative associate a un breve pensiero. Questo perché le immagini hanno un enorme potenziale.

Indipendentemente dal fatto che io possa sentirmi più o meno brava a visualizzare immagini o a usufruire della cosiddetta “memoria fotografica”, secondo specialisti nel settore della comunicazione, della motivazione e del self-help, come  Alberto Lori  «il nostro cervello lavora per l’87% con immagini». In questo breve video, che vi consiglio caldamente quanto meno di ascoltare, Lori presenta dei semplicissimi esempi, finalizzati anche a spiegare perché, per essere efficaci nella comunicazione e nel dialogo interiore, sia importante evitare frasi o affermazioni al negativo.

Lori presenta due simpatici casi. Se io vi invitassi per esempio a “non pensare alla Torre di Pisa”, qual è la prima immagine che vi si presenta (vivida, a tre dimensioni, olografica, tutta a colori, oppure fugace, indistinta, appena appena percepibile, o in bianco e nero che sia)? La Torre di Pisa: è ovvio! Ancora, continua Lori, se vi invitassi a non immaginare un elefante nella vasca da bagno, cosa catturerà immediatamente la vostra attenzione? Un elefante nella vasca da bagno, naturalmente!

Chiedo adesso alle amiche e agli amici che lamentano difficoltà nel visualizzare le immagini: «Dopo aver letto quest’ultimo passaggio, come vi è apparsa (vostro malgrado, aggiungerei) la Torre di Pisa? Come in cartolina, come un pensiero, un ricordo, un disegno, un’idea, altro?»

Stabilire come visualizziamo le idee/immagini mentali è di cruciale importanza per chi voglia usare consapevolmente questo strumento creativo di cui tutti, ma proprio tutti siamo dotati.

È anche possibile che la Torre di Pisa ci si presenti sottoforma di simbolo, magari veicolato da ricordi scolastici, se non viviamo dalle parti di Pisa, magari tramite la descrizione fattane in un libro, in un film o addirittura tramite le note di una canzoncina per bambini.

Per riassumere, non è importante come le informazioni ci vengano veicolate e non esiste un canale informativo superiore a un altro: l’importante è conoscere la nostra o le nostre modalità preferenziali di trasmissione ed elaborazione di immagini, idee, sensazioni e  informazioni per poterne fare un uso ottimale e consapevole.

Prima ancora di questo, è importante usare questa consapevolezza per imparare a conoscere, osservare ed eventualmente modificare il nostro costante dialogo interiore che, tramite un chiacchierio continuo, immagini, sensazioni arricchite da ricordi, sentimenti, desideri, fantasie… alimenta la realtà che quotidianamente creiamo in noi e attorno a noi, con o senza la consapevolezza di farlo.

Ecco perché, sebbene io mi consideri una frana quando si tratta di ricordare strade e itinerari a causa della mia convinzione di non avere memoria visiva, e sebbene tanti lettori si siano con me lamentati di non riuscire a visualizzare immagini mentali o di mancare di immaginazione, i banali esempi qui riportati costituiscono un valido test per stabilire che: 1) le immagini mentali si insinuano con forza e anche nostro malgrado nelle nostre vite, giocando in esse un ruolo fondamentale, indipendentemente dal modo in cui ci si presentano e dal fatto che ne siamo o meno consapevoli, e 2) hanno un potere enorme nel colorare in positivo o in negativo il nostro dialogo interiore e di conseguenza il nostro potenziale creativo.

È ovvio che questa consapevolezza abbia una portata enorme, indipendentemente dal motivo per il quale la coltiviamo. Essa si applica a tutti i campi e a tutti i settori e interessa ogni aspetto delle nostre vite. Tuttavia oggi ci limiteremo a parlare nello specifico di come questa consapevolezza possa sbloccare quella porta virtuale che vediamo nell’immagine di copertina per consentirci un contatto quotidiano con i nostri cari nell’Aldilà.

Mi si consenta però una parentesi. Molti credono che i medium professionisti percepiscano le cose che ci raccontano come un vivido film a colori se non a tre dimensioni, o addirittura come una realtà oggettiva frammista a quella che ci circonda normalmente. È ben vero che ho visto qualche medium bravo e professionale ricorrere ogni tanto a trucchetti che lasciano immaginare che le cose stiano proprio così, come nei film su Melinda Gordon. Ma lasciatemi precisare che la medianità cosiddetta “oggettiva” è un caso raro e che, nella maggioranza dei casi, i medium percepiscono l’Aldilà esattamente come lo facciamo noi. Se io vi chiedessi in questo momento: «Pensa a tua mamma» oppure «Pensa alla tua parrucchiera», «Pensa al vicino di casa», voi come ve le figurate queste persone? La vostra risposta è importante, e rivolgo in particolare queste domande a chi mi dice di non avere immaginazione o di non riuscire a visualizzare nulla.

Il modo in cui penserete a vostra mamma, alla vostra parrucchiera, al vostro vicino di casa e via discorrendo è esattamente il modo in cui percepirete i vostri cari nell’Aldilà.

Per tornare all’immagine di copertina, noteremo, osservandola, che la porta in realtà non costituisce alcun ostacolo. Essa appare per quello che in effetti è: il simbolo di una separazione impostaci dalla cultura comune e condivisa, inculcataci fin da piccoli e in modo martellante tutti i giorni, collocata in un punto qualsiasi di un ambiente che è in realtà privo di separazioni, porte, scale, ponti, guadi, fiumi o cancelli. La porta si colloca invariabilmente davanti a noi, come a suggerire che viviamo in un mondo buio e separato dalla paradisiaca dimensione in cui i nostri cari trapassati dimorano felicemente. In altre parole, la porta è una nostra appendice culturale, che si concentra su ciò che la valvola a riduzione del nostro cervello percepisce normalmente quando prevalgono le onde beta dello stato di veglia, liquidando come fantasie e sogni ad occhi aperti tutte le informazioni cui abbiamo accesso per esempio in meditazione, quando domineranno le onde alfa se non le onde theta.

Per fornire degli esempi del condizionamento martellante e continuo con cui questa separazione viene rinsaldata in noi ogni giorno, basti pensare alla diffusa tendenza ad ignorare la morte nel vivere e conversare quotidiano. La morte è un argomento imbarazzante: mostrare la nostra vicinanza a una persona a lutto si riduce spesso a poche parole di circostanza; le persone anziane che non hanno parenti che si occupino di loro o un esponente della loro religione non sono accompagnate nel loro cammino spirituale verso il trapasso perché è difficile trovare personale ospedaliero o impiegato nelle case di riposo disposto e preparato ad affrontare temi spinosi come la fine della vita che chiamiamo “fisica”! Questo semplicemente perché si preferisce non pensarci.

Secondo i nostri Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, chi perde un figlio, un coniuge, un genitore, un fratello… ha diritto a tre (dico 3) soli giorni di “permesso retribuito per lutto”, come se dopo tre giorni si possa umanamente immaginare di poter riprendere a lavorare come prima.

Certo! Il dolore lancinante per la perdita di una persona cara non risparmia nessuno: neanche chi passeggia liberamente tra i due mondi, come me che viaggio in astrale o un medium che conversa abilmente coi defunti per conto terzi. Il distacco fisico da una persona cara è un trauma indescrivibile, che merita ogni attenzione, premura e sostegno morale. È come un terremoto personale che scuote dal profondo la nostra esistenza e richiede molto spesso tantissima pazienza con se stessi, perché ognuno affronta questi momenti in modo unico e diverso caso per caso. Non esistono regole per vivere la sofferenza ed è giusto che sia così: siamo tutti persone uniche e quando cesseremo di essere fisicamente presenti lasceremo tutti un vuoto unico, a seconda di chi ci conosce.

Per riassumere, indipendentemente da quelle che possono essere le nostre convinzioni ed esperienze, lo strappo fisico che segue alla morte è comunque un trauma violentissimo, per cui non è detto che le mie parole in un momento di forte dolore possano risultare di alcun interesse.

Anche il medium più ferrato ha difficoltà a beneficiare del proprio talento quando la crisi riguarda proprio lui/lei. Nonostante tutte le prove ed esperienze di prima mano, il pensiero della propria morte o di quella di una persona cara resta avvolta in una nube di mistero e sofferenza. Prendiamo William Thomas Stead (1849–1912), scrittore ed editore inglese, noto ricercatore nel campo dei fenomeni psichici e medium lui stesso, perito tragicamente in occasione del naufragio del Titanic. Nonostante le numerose e documentate premonizioni avute sul disastro in mare, l’unica visione che Stead ebbe in vita della propria morte fu quella di morire calpestato dalla folla. Considerando quanto Stead si sia battuto contro i protocolli assurdi e mortificanti imposti dall’entourage scientifico e dai suoi stessi colleghi ricercatori per ottenere prove della continuità della vita dopo la morte (si veda questo articolo), e considerando quanto questi test ridicoli e umilianti per medium e defunti comunicanti ad opera di sedicenti scienziati e ricercatori continuino tutt’oggi, nel XXI secolo, trattando i medium alla stregua di topi di laboratorio e i defunti quale “fenomeno anomalo” la cui esistenza va dimostrata, a mio parere la visione di Stead, morto calpestato dalla folla, potrebbe simboleggiare proprio questo massacro della spiritualità ad opera degli scientisti che, obbligando i nostri cari, che vivono felici al di là dello spazio e del tempo, a trasmettere solo un rigagnolo di informazioni tramite i loro infelici test “scientifici”, vengono alla fine calpestati in nome dell’oggettività e razionalità della scienza.

Chiusa la parentesi sul lutto e il modo in cui esso inevitabilmente annebbia più o meno aspramente la nostra capacità di vedere oltre la porta di cui dicevamo, questo articolo è stato scritto per chi non è infastidito dall’argomento e ha potuto maturare, grazie agli incontri che (anche se non ce ne ricordiamo) durante il sonno continuano sempre con i nostri cari, una certa qual serenità, che, seppur vaga, ha una sua ragion d’essere: la mia teoria, provata dall’esperienza personale e da quella delle persone che conosco, è che tutte le notti, quando i nostri sensi fisici sono per lo più disattivati, ci ritroviamo con i nostri cari nella nostra Casa più Grande, una casa che ha molte più stanze e molti più ambienti, collocata in un luogo paradisiaco, dove i nostri cari risiedono guariti e ringiovaniti, pronti a tranquillizzarci sulla propria sorte e sul proprio benessere. Anche se non li ricordiamo al mattino, questi incontri hanno il potere di tranquillizzarci e l’effetto rasserenante non riguarda solo chi crede in un dopo-vita, ma anche chi non ci crede. Il tempo, dunque, non cancella proprio nulla. Non si tratta di un “rassegnarsi” alla perdita, o peggio di un “dimenticare” la persona cara: al contrario, con il passare del tempo, ci sentiamo più sereni proprio grazie a questi costanti incontri, che ci confermano e riconfermano il perdurare imperterrito e anzi accresciuto dei nostri legami affettivi con chi fisicamente non vediamo attorno a noi.

A proposito della nostra Grande Casa Celeste, sono diverse le persone mi hanno raccontato di scoprire, in sogni particolarmente significativi, nuove stanze nella propria casa, oppure di ritrovarsi in una casa a loro conosciuta solo in sogno, in cui ci sono molti più ambienti che nella realtà. Proprio ieri, il mio amico Dott. Claudio Pisani mi raccontava che in questi casi gli capita di abbattere in sogno una parete e di scoprirvi dietro una nuova camera. Il collega ricercatore David Pierce  racconta anche lui sogni particolari in cui scopre nuove stanze e passaggi segreti in casa sua. Se vi dovesse capitare di fare un sogno del genere è probabile che si accompagni ad una sensazione di ricongiungimento e appartenenza. Vi consiglio in questo caso di prenderne nota nel vostro diario.

A costo di ripetermi, dunque, quando si parla di contatto con l’Aldilà, anche i più intraprendenti e fiduciosi (me compresa) sentono il peso dei restrittivi preconcetti di cui abbiamo parlato, cui siamo particolarmente vulnerabili non solo se abbiamo recentemente perso una persona cara, ma anche se siamo semplicemente stanchi. La stanchezza e lo stress accumulati in una giornata possono a tutti gli effetti intossicare il nostro animo, e quindi renderci meno disponibili a uscire consapevolmente dalla gabbia di preconcetti in cui siamo costretti a vivere nel quotidiano. Questa sorta di prigione invisibile impostaci da chi più ne trae beneficio, considera il mondo materiale separato, inferiore, regolato da grossolane leggi secondo cui la morte rappresenta una cesura definitiva, oltre la quale per un motivo o per l’altro è insano o immorale affacciarsi. Secondo tali preconcetti, solo alcune persone particolarmente fortunate posseggono il dono di comunicare con i defunti, di sintonizzarsi con l’altra dimensione.

In effetti, un medium professionista non toccato dal lutto che affligge chi ha appena subito una perdita, è nelle condizioni ideali per fare in questi casi da tramite.

Ma anche nella scelta di un professionista occorre cautela. Per tornare alla cultura dominante sulla vita e sul dopo-morte, grazie a questo diffuso pregiudizio, abbondano sull’argomento ogni sorta di illazioni che spaziano dall’invito a “non disturbare” i defunti a vere e proprie superstizioni in cui sguazzano scettici, scentisti, falsi medium e venditori di fumo. Questi ultimi sono particolarmente pericolosi quando imbastiscono le loro tele commerciali e vuote di contenuti, mirate ad offrirci a caro prezzo il segreto o i segreti che ci daranno finalmente la felicità, segreti da custodire gelosamente proprio perché destinati a pochi eletti. Non mi riferisco naturalmente a studiosi che hanno riportato questo argomento alla luce, come i coniugi Hicks, ma a millantatori senza scrupoli che con le proprie campagne pubblicitarie inondano di pop-up il cyberspazio.

Ebbene sì: come già anticipato, il tema di fondo di questo articolo non riguarda solo i contatti con l’Aldilà, ma la vita in generale. Quella che oggi viene “venduta” come Legge di Attrazione è una serie di principi basilari di cui l’umanità è sempre stata a conoscenza. Ma su questo tema più ampio mi diffonderò in un’apposita pubblicazione.

Per il momento dedico questo articolo in particolare alle persone che, dopo aver letto le mie pubblicazioni, mi scrivono o mi telefono lamentando il problema di essere troppo razionali, di non avere immaginazione, non riuscire a visualizzare nulla, di essere “fatte così”.

Nel suo libro The Three “Only” Things (New World Library, 2010), Robert Moss, grande studioso australiano del “sogno consapevole” e del “sogno attivo”, nell’illustrare l’enorme potere (spesso completamente ignorato) di sogni, coincidenze ed immaginazione, dice «Tutti viviamo di immagini: esse ci accendono e ci spengono, sia che usiamo la nostra immaginazione sia che ci limitiamo ad essere passivi ricevitori della programmazione altrui». Circa il potere creativo del pensiero, afferma che «Creare significa portare nel mondo qualcosa di nuovo» e che «Oltre ad essere uno stato di coscienza creativo, il regno delle immagini è un mondo reale. È la regione della mente dove il significato prende forma e dove gli oggetti acquisiscono significato». Quando liquidiamo i frutti dell’immaginazione come pura fantasia se raffrontati alla realtà oggettiva e condivisa, esiliamo, secondo Moss, quella parte di noi che sa cose che hanno un’importanza straordinaria e che ha il potere di rivedere e ricreare il nostro mondo. «L’immaginazione» continua Moss «è la facoltà che la nostra mente e la nostra anima hanno di pensare e agire tramite immagini (…) immagini che prendono energia in prestito da ricordi ed esperienze sensoriali, non per produrne delle semplici copie, ma per rimodellare e trasformare tale “materia prima” in qualcosa di nuovo, che può acquisire ulteriore energia da fonti più profonde». Per fornire un esempio di quest’ultima affermazione, Moss ricorda il caso della piccola Sally, una bambina che soffriva di frequenti incubi notturni. Le aveva regalato un soldatino giocattolo che aveva conservato dall’infanzia, un centurione romano, con la promessa che questo l’avrebbe protetta dai suoi incubi. Incontrando Sally casualmente tre anni dopo, all’età di dieci anni circa, la bimba aveva subito esordito entusiasta: «Lex è proprio grande!» Moss non ricordava più l’episodio, e la bimba, scandalizzata da questa dimenticanza, gli riferiva che il centurione, in caso di necessità, si presentava alto più di due metri e sgominava tutti gli incubi stroncandoli sul nascere. Questo è uno di quei casi che Moss presenta a dimostrazione del fatto che la “materia prima” di cui si serve la nostra immaginazione può acquisire nuova energia da fonti più profonde di quelle a noi note nel quotidiano.

Come scrivo nel libro l’Aldilà è a portata di mano, nel capitolo dedicato al contatto in quieto stato meditativo:

«Una delle cose più importanti che ho appreso negli anni circa la modalità con cui si verificano i contatti cosiddetti medianici in un quieto stato meditativo è il fatto che l’IMMAGINAZIONE è lo strumento più pratico e utile fra quelli a nostra disposizione per raggiungere lo scopo ed è anche il principale strumento che i nostri cari hanno a portata di mano nell’Aldilà per comunicare con noi.

L’immaginazione è una cosa con cui abbiamo familiarità, perché la usiamo tutti i giorni, e ha l’effetto di aprire la nostra mente alla percezione di dimensioni non-fisiche, consentendo anche un’effettiva comunicazione con i trapassati.

Inoltre l’immaginazione ha un forte potere creativo, sia sul piano fisico che su quello spirituale: per cui, immaginando un qualsiasi scenario in cui collocare il nostro incontro con i nostri cari nel Mondo dello Spirito, partecipiamo attivamente alla vera e propria creazione di quell’ambiente e i nostri cari, richiamati dal nostro pensiero, accorreranno istantaneamente ad incontrarci là dove li stiamo aspettando.

Vari autori parlano del ruolo chiave dell’immaginazione per contattare i nostri cari; fra questi cito Sanaya Roman, Robert Moss e Bruce Moen, il quale si sofferma in modo particolare sull’importanza di “fare finta che…” una certa cosa stia succedendo per accedere al Mondo dello Spirito».

Come fare dunque, sapendo tutto questo, a sbloccare l’immaginazione, nostro patrimonio condiviso e sacrosanto diritto di nascita, laddove sentiamo di non averne o di essere troppo razionali e privi di creatività?

In primo luogo prendendo atto che l’immaginazione di cui tutti da bambini siamo padroni indiscussi NON PUÒ esserci rubata, così come le magiche opere di creazione cui essa ci dà accesso. Basta semplicemente esserne consapevoli.

Se i nostri genitori, insegnanti, amici, colleghi, capi hanno continuato negli anni ad esaltare l’aspetto logico e razionale della vita, convincendoci dell’inutilità di quel 10 in disegno, o della nostra bravura nel cantare o nel suonare uno strumento rispetto a un 7 in matematica o in italiano, rendiamoci conto che la convinzione che ne deriva non ha più efficacia di una spolverata di zucchero a velo su un pandoro o di una glassa di cioccolata sul cuore di panna del nostro gelato preferito.

Per esempio, IO SO che questo mondo fisico è solo un riflesso di un mondo più vivo, intenso, magico e bello, grazie al fatto che lo vedo e lo tocco con mano mentre il mio corpo dorme e la mia mente è sveglia. Ma viaggiare in astrale non è necessario: mi ha semplicemente permesso di accorgermi che anche da sveglia, se sono annoiata o assonnata, oppure volontariamente in meditazione, percepisco la dimensione non fisica, magari con la coda dell’occhio, magari grazie a un flash mentale, un pensiero improvviso, un’idea, una sensazione, un motivetto.

Rivisitiamo con questa consapevolezza l’articolo .

Se a questo punto qualcuno dei miei lettori ha dei quesiti specifici, vi prego di compilare il modulo che trovate in questo post o di scrivermi un’e-mail. Sarà per me un piacere rispondere in modo più a approfondito e pertinente alle vostre domande.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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