Facciamo un passo avanti e veniamo all’estate del 1994, ad una delle esperienze più toccanti e commoventi che io abbia mai avuto, che ha portato con sé la certezza che l’Aldilà é letteralmente a portata di mano. I fatti risalgono alle 3:00 del mattino, di lunedì, 29 agosto 1994. All’epoca, avevo appena compiuto 33 anni.
Erano circa tre anni che avevo cominciato ad avere esperienze volontarie di proiezione astrale, in occasione delle quali avevo anche incontrato il mio nonno paterno, che era mancato quattro anni prima della mia nascita (pochi mesi prima che i miei genitori si conoscessero). Ma fino a quel momento, era sempre stato come se lui mi venisse incontro a metà strada, per così dire, in una zona non meglio definita fra Cielo e Terra. Mi ero esercitata ad avere queste OBE nel mio appartamentino da single, il sabato o la domenica pomeriggio, dopo aver staccato il telefono per essere sicura di non essere disturbata.
Preferivo farlo di giorno, perché c’era la luce del sole, ed io avevo sempre avuto paura del buio. Col tempo, ero passata dalla semplice curiosità circa gli aspetti e le possibilità “tecniche” legate alle OBE ad un approccio più spirituale, mirato ad ottenere prove circa la vita dopo la morte del corpo fisico. Da quando queste esperienze erano diventate per me una fonte di ricerca spirituale, mio nonno era diventato per me come una guida, e raramente non si presentava quando andavo in cerca di lui.
Ma veniamo all’estate del 1994.
Dall’8 al 14 agosto 1994 avevo passato la mia prima settimana all’Arthur Findlay College di Stansted, sede della SNU, o Unione Spiritualista Inglese. Era stato il mio primo contatto approfondito con lo Spiritualismo e con medium professionisti. Al mio ritorno in ufficio, il lunedì successivo alla vacanza, avevo saputo che erano peggiorate le condizioni di salute di Sabrina, figlia quattordicenne di uno dei miei colleghi, che al ritorno da una vacanza estiva in Spagna con i genitori aveva cominciato a soffrire di una patologia fulminante che aveva aggredito diversi organi vitali. Mercoledì, 17 agosto, ricevemmo la triste notizia che Sabrina era improvvisamente morta in ospedale. La notte prima aveva detto buona notte al suo papà, pregandolo di venirla a trovare il più presto possibile la mattina dopo. Ma non ce l’aveva fatta a superare la notte e solo l’infermiera si trovava accanto a lei quando aveva all’improvviso sentito che stava succedendo qualcosa di strano e le aveva chiesto di abbracciarla forte.
Questa notizia mi sconvolse. Avevo parlato solo una volta con Sabrina al telefono, prima di partire per Stansted, perché mi trovavo per caso al centralino dell’azienda per la quale lavoravo, e lei chiamava per parlare con il papà. Ma adesso ero assillata da un pensiero che mi pressava anche con una certa urgenza, e cioè che avrei potuto dare a suo padre delle prove che Sabrina era viva e stava bene proprio grazie a queste mie OBE. Non mi rendevo proprio conto di quanto poteva essere difficile parlare di esperienze così fuori dall’ordinario. Il papà di Sabrina sarebbe rientrato al lavoro il 29 agosto e, durante la settimana precedente il suo rientro in ufficio, l’urgenza di andare “di là” a controllare come stava Sabrina divenne sempre più pressante e non riuscivo praticamente a pensare ad altro. Si trattava di una sensazione strana e molto forte, che avrei sperimentato più volte in futuro, ma era anche la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere e la prima volta che concepivo l’idea di usare le OBE per conto di un’altra persona.
Quell’ultima settimana provai tutte le notti, ma senza successo.
La domenica sera mi ritrovavo ancora con lo stesso problema. DOVEVO ASSOLUTAMENTE vedere Sabrina quella notte, a ogni costo.
Quella notte passai le prime tre ore a rigirarmi nel letto, cercando disperatamente di rilassarmi e di raggiungere uno stato ipnagogico sufficientemente lungo che mi permettesse di uscire consapevolmente dal corpo, ma inutilmente. Non avevo un’esperienza sufficiente in questo campo, e neanche mi rendevo conto all’epoca di quanto il senso di urgenza dettato da uno stato di lutto o di dolore potesse rivelarsi un vero e proprio ostacolo per questo tipo di esperienza. Ero in preda a una grande frustrazione.
Intorno alla mezzanotte riuscii effettivamente ad uscire dal corpo, ma mi trovai ad affrontare un’esperienza piuttosto inaspettata ed inquietante: ero in preda a forti vibrazioni, quasi una corrente elettrica mi attraversasse il corpo, quando vidi emergere dal pavimento della camera da letto un Cristo a grandezza d’uomo appeso alla croce. Questo fatto, che, come scoprii in seguito, era in pratica l’ultima barriera posta all’esperienza dell’Oltre-Vita dai miei preconcetti religiosi, mi terrorizzò, e abbandonai definitivamente il progetto di andare a cercare Sabrina.
Ma intorno alle 3:00 del mattino mi trovai di nuovo all’improvviso fuori dal corpo, sebbene questa volta mi ritrovassi in un ambiente completamente differente e, per la prima volta nella mia vita, non provavo né un senso di paralisi né le vibrazioni, e, cosa più importante, non avevo paura. Non mi trovavo in camera da letto, e non mi trovavo neanche in quel posto così familiare, a “metà strada fra Cielo e Terra” dove ero solita incontrare mio nonno. Mi trovavo in un altro posto e mi trovavo faccia a faccia con Sabrina.
Mi apparve leggermente più giovane di una quattordicenne, ed in uno stato d’animo che all’epoca mi era sembrato leggermente confuso. Oggi, con il senno di poi, dopo aver visitato altre volte l’Aldilà in circostanze del tutto diverse, mi rendo conto di cosa possa avermi dato quella sensazione. Non era Sabrina ad essere confusa: lo ero io.
Mi sarei aspettata che mi accogliesse a braccia aperte visto il mio incontro in ufficio con suo padre l’indomani, e invece non mostrava particolare entusiasmo. Le chiesi se stava bene, e mi rispose di sì. Le chiesi se desiderava inviare un messaggio a suo padre e a sua madre, e ricevetti una risposta che mi lasciò perplessa: «Beh sì! No, non al momento!» (Come poteva essere? Avrei visto suo padre il giorno dopo!) «Fra qualche tempo parlerai con mia mamma» continuò Sabrina (non conoscevo sua mamma) «ma solo dopo che avrai paralato con una donna che parla il francese». Questa fu la dichiarazione più strana di tutte. Non avevo idea di cosa potesse voler dire.
Dopo una breve conversazione, Sabrina si allontanò, come se non ci fosse più nulla da dire. E qui successe un altro fatto piuttosto unico fra tutte le mie esperienze di OBE. Sebbene fossi stata lasciata da sola, non avvertivo alcun bisogno, necessità o urgenza di rientrare nel corpo fisico. Mi ritrovai lì a stazionare senza saper bene cosa stavo facendo e cosa dovevo fare. In passato, avevo sempre avvertito, in tutte le esperienze fuori dal corpo, questo forte bisogno di rientrare alla svelta, una specie di “elastico” psicologico che mi richiamava indietro. Ma questa volta (fatto del tutto eccezionale) sembravo vivere il medesimo stato d’animo quieto e un po’ disinteressato di Sabrina, e mi chiedevo cosa stesse accadendo.
Ma dopo essere stata lì ferma per un po’ per conto mio, mi resi conto all’improvviso che non dovevo rimanere là. Fui presa dal panico, e come una falena che si mette a girare convulsamente intorno ad una luce, cominciai a cercare il mio corpo fisico per poi rientrare finalmente nel letto.
Manco a dirlo, quando il papà di Sabrina rientrò al lavoro il giorno dopo, non riuscii a spiccicare parola sull’accaduto, nonostante l’emozione incredibile che provavo.
Circa dieci giorni dopo ebbi un’altra OBE “programmata”, questa volta al pomeriggio, durante la quale cercai di rivedere Sabrina. Non appena uscita dal corpo, percepii la presenza di una creatura angelica (una donna), più alta di me e bellissima (sebbene non riuscissi effettivamente a “vederla” come attraverso gli occhi fisici), che mi offrì il braccio con decisione e mi accompagnò lentamente attorno a quello che appariva una specie di letto, sebbene non potessi vedere chi vi dormisse. Mi chiese per favore di parlare a bassa voce, per non svegliare Sabrina. Poi mi riaccompagnò al mio letto, perché tornassi nel corpo, dove rientrai in maniera inusitatamente delicata.
Sebbene non avessi una grande esperienza dell’Aldilà all’epoca, trassi la conclusione che Sabrina in quel momento stava riposando, e non doveva essere disturbata. Fu solo anni dopo che appresi dalla letteratura medianica che è piuttosto frequente per chi sia morto a seguito di una malattia, di un evento scioccante o in età avanzata, godere dopo il trapasso di un periodo di riposo molto simile al sonno, nel corso del quale si ambienta e adatta perfettamente alla nuova situazione di disincarnato.
Alcuni giorni dopo il mio primo incontro con Sabrina, il 1 settembre 1994, fummo informati in ufficio che una giovane Assistente al Servizio Marketing era appena stata assunta. Questa nuova collega, che aveva praticamente la mia età, poiché era solo 4 giorni più giovane di me, era bilingue (italiano-francese) ed era appena rientrata in Italia dopo diversi anni passati in Francia; all’epoca passava regolarmente due finesettimana al mese in Francia. Per una fortuita serie di coincidenze, questa ragazza ed io cominciammo quasi subito a chattare attraverso l’intranet aziendale di varie cose, ed io mi trovai ad accennarle che avevo queste OBE ed avevo appena avuto questa incredibile esperienza di incontrare Sabrina e non avevo idea di come gestire la cosa.
Circa un mese dopo, la collega del Servizio Marketing mi venne a dire di essersi trovata a parlare con il papà di Sabrina alla macchina del caffè del piano di sotto e che lui le aveva parlato così apertamente di questo lutto così recente che lei non aveva resistito alla tentazione di riferirgli che io avevo qualcosa da dirgli.
Prima di quel momento, non avevo programmato e neanche immaginato che una cosa del genere potesse mai verificarsi.
Così, circa 40 giorni dopo la morte di Sabrina, suo papà passò nel mio ufficio a chiedermi “che cosa stavo combinando con la Sabrina”. Naturalmente fui presa dall’imbarazzo. Sentivo che per lui non era facile parlare di cose del genere, ma mi venne immediatamente incontro dicendomi che sua moglie avrebbe gradito incontrarmi e, senza chiedermi alcun dettaglio circa le mie “esperienze”, mi chiese se potevo andare a pranzo da loro.
E questo è proprio quanto capitò. Dopo pranzo, la mamma di Sabrina ed io ci ritirammo in soggiorno a parlare un po’ di tutto. Si verificò esattamente quello che Sabrina aveva predetto, e oggi mi rendo conto che la sua apparente mancanza di trasporto nel parlarmi era probabilmente dovuta al fatto che il mio fermento interiore nell’incontrarla non aveva alcun modo di essere veicolato nella realtà di tutti i giorni con la velocità che mi aspettavo o che speravo.
Sebbene non ci fossimo mai incontrate prima, la mamma di Sabrina ed io passammo diverse ore a parlare quel pomeriggio. Mi chiese un resoconto dettagliato e condivise con me molti ricordi di sua figlia. Mi disse anche di stare attenta a non parlare di questo argomento troppo apertamente con suo marito, perché troppo emotivo per gestire un qualcosa di così delicato. Mi raccontò di un’esperienza che aveva avuto alcuni giorni dopo il trapasso di Sabrina, quando una mattina, svegliandosi, aveva avvertito distintamente la presenza di sua figlia che le parlava e che le diceva che stava bene, che andava tutto bene e che sarebbe andato tutto bene.
Ad integrazione di questo racconto, devo riferire un sogno avuto nel 2003.
Dal 1994, ero sempre rimasta in contatto con i genitori di Sabrina (di cui custodisco una foto in sala), e ci eravamo visti almeno due volte all’anno. Quando nacque nostro figlio, mi avevano anche regalato un orologione di stoffa, che era stato di Sabrina, e una sua copertina per la culla.
Nel corso del 2003, senza alcun preavviso, ho sognato Sabrina bellissima, ormai ventiduenne, che (come era capitato per altre persone a me care, inclusa mia nonna), sembrò essermi venuta in sogno con il preciso scopo, non solo di mostrarmi che bella giovane adulta era ormai diventata, ma per descrivermi il suo trapasso, mostrandomi come era stato dolce, e conseguentemente difficile per lei capire l’esatto momento in cui aveva per così dire lasciato questa Terra.
Nel sogno mi mostrava di trovarsi con l’infermiera e un momento dopo di non aver più bisogno di respirare, ma che aveva dovuto ripercorre più volte con il pensiero quegli istanti avanti e indietro nel tempo per cercare di capire esattamente in che “momento” si era verificato il trapasso.
Il contatto più recente con Sabrina risale invece al novembre del 2008. I suoi genitori mi avevano espressamente chiesto se potevo cercare di incontrarla. E l’incontro era arrivato quasi subito, carico di emozioni da togliere il fiato. Non mi rendevo conto in quel momento di quale stagione si stesse avvicinando. Ma Sabrina, vestita di un rosso vivace, ebbe queste meravigliose parole per i suoi genitori: era tanto dispiaciuta di averli lasciati; avrebbe voluto abbracciarli con tutti i Natali che avevano dovuto trascorrere senza di lei.
Come si può evincere da questo racconto, nel caso di Sabrina, OBE, sogno e contatto volontario hanno tutti contribuito al mantenimento dei contatti con questa deliziosa ragazzina che ci ha lasciato troppo presto.
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