Il mio ex-capo e amico Dario è venuto a trovarmi a 48 ore dalla morte per dirmi che i “terminali” siamo noi e che nella vita non bisogna mai avere rimpianti

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Giulia Jeary Knap, autrice dei libri L’Aldilà è a portata di mano: Tre metodi collaudati per mantenere personalmente i contatti con chi ci ha preceduti nel Dopo-Vita, La verità sulla reincarnazione: Conforto e sollievo da un concetto spesso ambiguo e di altre pubblicazioni riportate nella Pagina Amazon: http://amazon.com/author/giuliajearyknap

 

Dario aveva 55 anni. L’ho conosciuto intorno al 1990, quando il mio capo di allora dirigeva la direzione alimentare di una grande multinazionale americana, che a sua volta possedeva il 30% dell’azienda che Dario portava avanti, dopo la malattia e prematura scomparsa di suo padre. Anche se i nostri uffici erano separati da più di 200 km, ogni tanto Dario veniva a trovarci per relazionare il mio capo sull’andamento dell’attività. Poi, dopo circa tre anni, la multinazionale per cui lavoravo ha deciso di disfarsi delle proprie attività in Italia e il mio capo è stato trasferito in America.

Il mio lavoro successivo non è durato a lungo: l’azienda faceva parte di un’altra multinazionale che faceva del mobbing il suo mostruoso punto di forza e io mi sono ben presto resa conto che, pur essendo una segretaria di direzione, lì avrei potuto ammalarmi seriamente.

Era già da un paio d’anni che frequentavo l’Arthur Findlay College di Stansted (Regno Unito), sede dello Spiritualist National Union, che dedicava all’epoca ogni anno una settimana di insegnamento sulla medianità agli italiani (adesso le settimane sono diventate due, per venire incontro alle crescenti richieste da parte degli ospiti italiani). A Stansted c’erano medium professionisti, che acquisivano questo titolo dopo un adeguato corso di studi e di pratica: persone che erano in grado non solo di mettermi in contatto con i miei cari nell’Aldilà, per trasmettermi i loro messaggi e consigli, ma che riuscivano, tramite le proprie guide spirituali, a vedere la mia vita da una prospettiva più ampia, proprio quello di cui avevo bisogno in quel momento così delicato.

Data la situazione di effettivo pericolo in cui mi trovavo a causa del mobbing, decisi, nel maggio del 1995, di andare a Stansted per una settimana, per avere un consiglio mirato su come tirarmi fuori da questa triste situazione.

Nel corso di quella settimana ebbi una seduta con un giovane medium, eccezionalmente bravo: Simon James.

Pur non sapendo nulla di me, Simon mi disse che mi vedeva in una situazione di difficoltà, per quanto riguardava il lavoro, una situazione che stava minando la mia salute (incredibile!!!). Ma mi disse di non preoccuparmi, perché, tempo sei mesi, ci sarebbe stato un cambiamento di lavoro e un trasferimento geografico. Devo precisare che, durante un consulto come questo, con un medium professionista, questi deve essere tenuto rigorosamente all’oscuro sulle circostanze di vita del consultante, per evitare condizionamenti ma soprattutto per assicurare che il contatto con il Mondo dello Spirito sia genuino. Inoltre, i medium spiritualisti ci tengono a precisare che non fanno previsioni sul futuro, anche perché, nel Mondo dello Spirito, non esiste il nostro tempo lineare e in più noi abbiamo il nostro sacrosanto libero arbitrio. Tuttavia, se le circostanze che porteranno a un determinato esito sono già in moto e sono oggettivamente prossime a verificarsi, e un nostro caro dall’Aldilà o una nostra guida spirituale desidera rincuorarci mettendocene a parte, si possono ricevere messaggi come quello che io ho ricevuto da Simon.

Tornai a casa un po’ risollevata. Era maggio. A novembre, di punto in bianco, ricevo una telefonata da Dario (la cui azienda si trovava a oltre 200 km di distanza). Mi chiede di contattarlo telefonicamente appena posso. Ricordo di averlo chiamato da una cabina telefonica quella sera stessa: Dario mi aveva conosciuto nelle vesti della segretaria di direzione di una persona che stimava e aveva avuto modo di conoscermi in quel contesto; adesso aveva bisogno di una segretaria e mi chiedeva se volevo trasferirmi.

Inutile dire che quella telefonata ha cambiato il corso della mia vita, e forse me l’ha anche salvata.

Nel giro di un mese mi ero trasferita in una ridente cittadina di collina, non lontano da dove avevo vissuto per diversi anni, prima della mia avventura metropolitana, che mi aveva visto prima all’apice di una carriera fantastica, con un lavoro decoroso, stimolante e piacevole, poi nel cupo inferno del mobbing.

Con il formarsi della mia famiglia e la nascita di mio figlio, pochi anni dopo, dovetti però dire addio al lavoro dipendente, perché purtroppo inconciliabile con gli impegni di mamma. Ma sono sempre rimasta amica di Dario e della sua famiglia, ci siamo frequentati prima del mio successivo trasferimento, e negli anni siamo sempre rimasti in contatto, vuoi per motivi di lavoro (sono poi diventata una libera professionista nel settore delle traduzioni), vuoi per i nostri comuni interessi per l’Aldilà e la medianità.

Una volta cessato infatti il rapporto di subordinazione professionale, abbiamo potuto sviscerare in totale serenità questi argomenti che per tanti restano un misterioso tabù. Fatto sta, che, verso la fine del 2012, Dario mi ha telefonato dall’ospedale dove era appena stato operato, informandomi di quello che si rivelò l’inizio del suo prematuro calvario, che dopo quattro interventi e invasive terapie, lo ha portato alla morte nel settembre del 2014. L’ultima volta che ci siamo sentiti era fine maggio, ed eravamo rimasti in contatto per un po’ per motivi di famiglia e di lavoro. La sua voce era squillante, il suo entusiasmo per la vita immutato, il suo coraggio encomiabile. Poi, una sera di fine settembre sono venuta a sapere della sua scomparsa il giorno prima. Non potevo crederci.

Quella sera l’ho passata su internet a leggere tutti gli articoli che confermavano quella tragica verità: una vita spezzata!!!

Dissi in cuor mio: «Dario, se vuoi testimoniarmi la tua sopravvivenza io sono qui! Non sono appannata dal lutto come potrebbe esserlo un familiare. Forse riesco a vederti!»

La prima metà della notte mi sono semplicemente sentita martellare in testa una data. Era la data del suo ultimo giorno di vita, ma anche il giorno del compleanno dei nostri figli (sono nati lo stesso giorno a un anno di distanza). Poi, all’alba (era ormai il 25 settembre), c’è stato un contatto fantastico, di una vividezza straordinaria. Preciso che nel mese di giugno del 2014 avevo perso il mio papà, e, a causa del lutto, pur avendo svariati contatti con lui, non ne avevo mai avuto uno così vivido come lo ebbi con Dario quella mattina. Non posso definirlo sogno: era qualcosa di più, anche se sicuramente in quel momento il mio corpo dormiva.

Dario appariva il ritratto della salute. Eravamo a casa sua, e vedevo quanto sua moglie stesse male. Dario la vegliava con infinito amore, e le è rimasto accanto fino al momento in cui si è addormentata. In quel frangente, mentre eravamo a casa sua e vicino a sua moglie, Dario ha espresso due concetti molto chiari. Uno era inteso a farmi capire che i veri “terminali” siamo noi, che ci consideriamo “vivi”. Lui, deceduto da 48 ore in una situazione che noi definiamo “terminale”, mi si presentava come il ritratto della salute e mi ha mostrato come noi fisicamente vivi non siamo che l’ombra di noi stessi, un pallido riflesso rispetto alla nostra vera essenza spirituale, unica, sconfinata, eterna.

Poi ha fatto un articolato discorso sull’importanza di lasciarsi i rimpianti alle spalle: ciascuno di noi ha, in questa vita terrena, una o più missioni da seguire: che siano di natura pratica o di natura spirituale, non importa; l’importante e portare avanti quella missione, quel progetto, con tenacia, coraggio ed entusiasmo, senza voltarsi indietro.

Poi, dopo il momento in cui, vegliando sua moglie, lei si è addormentata, è sparito tutto il contesto attorno a noi: casa, persone… Siamo rimasti solo noi due. È stato un momento molto emozionante per entrambi, e, per un qualche motivo, mi parve che lui mi fosse grato. L’emozione non derivava solo dal fatto che non ci vedevamo di persona da circa 14 anni, ma dal fatto che ci trovavamo là, oltre le frontiere della morte. E la sua gratitudine? Me lo sono chiesto e la risposta che mi sono data è stata che forse mi era grato perché io riuscivo a vederlo, e potevo testimoniare che lui era VIVO e che stava benissimo. Dopo questo momento particolarmente emozionante, Dario mi ha fatto un regalo speciale.

Mi ha accompagnato in un luogo dove c’erano tante persone, e fra queste c’era anche il mio papà, mancato tre mesi e mezzo prima, che per il dolore avevo difficoltà a incontrare.

I miei genitori conoscevano benissimo Dario di fama, essendo la persona che mi aveva tirato fuori dal mobbing e, salvandomi da quell’inferno, fatto trasferire lì dove avrei conosciuto mio marito e formato la mia famiglia. I miei sapevano anche che eravamo rimasti amici e che Dario si interessava moltissimo alle mie ricerche ed esperienze nell’Aldilà e che nel mese di aprile del 2014 era stato fra i primi a leggere un mio libro sull’argomento. Ma non sapevano forse le cose che avevo letto in tutti quegli articoli su internet la sera prima, della sua intraprendenza, delle sue molteplici attività, della sua vita entusiasta e coraggiosa stroncata a 55 anni. Per questo motivo, quando Dario mi ha accompagnato da mio papà nell’Aldilà, mi sono sentita onoratissima di poterglielo presentare di persona, quasi fosse stato una star del cinema.

Ecco, questo è Dario: uno spirito gentile ed entusiasta, che appena ne ha avuto l’occasione, dopo quasi due anni di lotta contro un male incurabile, è venuto da me a testimoniarmi che era vivo, a dirmi che i “terminali” siamo noi, ma che non dobbiamo avere rimpianti se portiamo avanti la nostra missione di vita, qualunque essa sia. Inoltre Dario mi ha anche accompagnato da mio papà, e questo è stato un regalo enorme.

Qualche notte dopo, ho rivisto Dario in sogno: era assieme alla sua famigliola, come se non fosse mai andato via. Un’altra testimonianza di quanto i nostri cari non scompaiano nel nulla al momento della morte, ma rimangano pienamente partecipi della vita delle persone che amano.

Ho saputo, circa un mese dopo questi avvenimenti, che Dario è stato ugualmente presente con i suoi familiari, e in modo decisamente eclatante, specie nei giorni della veglia che hanno preceduto il funerale, e che continua a essere loro vicino con grande forza e abnegazione. Mi basta chiudere gli occhi per sentire la sua voce entusiasta che mi incoraggia a fare questo o quest’altro.

Ho sentito una constatazione simile da un suo stretto familiare e questo mi dice che, anche dopo il nostro ritorno a Casa, conserviamo la nostra personalità, unica e speciale. Cosa posso dire di più? Grazie, Dario. Grazie per la tua amicizia!

(settembre 2014)