Come fanno i nostri cari a contattarci dall’Aldilà

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Come abbiamo suggerito con l’esempio riportato nell’articolo dedicato a come ricordare i sogni, è come se i nostri cari trapassati vivessero nella stanza accanto, anche se questa non è altro che una metafora, dal momento che il mondo dello spirito esula dai nostri concetti di spazio tridimensionale e di tempo lineare.

Vivere liberi dai vincoli del tempo lineare significa che i nostri cari sono in primis desiderosi di farci sapere che sono vivi e stanno bene, ma non sentono questo bisogno in modo pressante, come potremmo viverlo noi se ci trovassimo all’estero o in qualche altro luogo sconosciuto, oppure come svariate persone che hanno avuto un’esperienza di premorte raccontano quando ricordano il disagio provato nel rendersi conto di stare più che bene, ma di essere diventati in qualche modo invisibili ai propri cari, che invece vedevano esclusivamente concentrati sul proprio corpo fisico privo di vita.

Nelle mie esperienze di OBE, o più semplicemente in sogno, ho più volte incontrato amici o parenti in inesistenti camere attigue a quella in cui mi trovavo io nel mondo fisico, o in inesistenti appartamenti situati di fronte al mio sullo stesso piano del medesimo condominio. Quindi la dimensione non fisica dell’esistenza può palesarsi sottoforma di camere o locali in più rispetto a quelli che vediamo e tocchiamo.

La metafora della “stanza accanto” viene usata anche dallo scrittore, editore e medium William Thomas Stead (1849–1912), perito nel naufragio del Titanic, il cui resoconto dell’Aldilà e del suo arrivo nel mondo dello spirito assieme a tutte le altre vittime della sciagura viene riportato nel libro L’isola blu (Edizioni Bis, 1 gennaio 2009) edito nella sua versione originaria nel 1922 dalla Hutchinson & Co. Dal resoconto di Stead si evince che la morte “non è che il passaggio da una stanza all’altra” e che “entrambe sono ugualmente ammobiliate e sistemate”.

In realtà il concetto di “stanza accanto” è una metafora di convenienza, in quanto facilita il compito che la nostra mente critica deve svolgere per capire come conviviamo con i nostri cari sul piano spirituale, piano di cui siamo tutti partecipi: incarnati e disincarnati.

Eppure, il Dott. Craig Hogan, che, con la propria opera Your Eternal Self (edito da Greater Reality Publications, 2008), presenta prove scientifiche di come la mente non sia circoscritta al cervello e circa l’effettiva esistenza dell’Aldilà, oltre ad offrire un programma di addestramento guidato online su come contattare i propri cari senza l’ausilio di un medium  (http://www.selfguided.spiritualunderstanding.org/), nello spiegare le dinamiche del contatto post-mortem, esordisce proprio dicendo: «Ricevere comunicazioni dagli altri piani di esistenza non è come sentire qualcuno parlare dalla stanza accanto». Il Dott. Hogan spiega che, qui, sul piano terreno, udire una persona parlare dalla stanza accanto è un fatto ineluttabile, avviene e basta, anche contro la nostra volontà. Ascoltare invece le comunicazioni che ci arrivano dall’Aldilà significa predisporsi a recepire input subliminali, sottoforma di pensieri, impressioni, sensazioni e altre sottili forme di sapere che, da svegli, se non stiamo volontariamente cercando il contatto, ci arrivano per lo più a livello subconscio.

Ciò che è più interessante della spiegazione fornita dal Dott. Hogan è la metafora che usa per spiegare come avviene questo contatto, spiegazione molto efficace per farci comprendere quanto sia necessario predisporsi e sintonizzarsi su questo canale più sottile, ma prima ancora, esserne consapevoli. Il Dott. Hogan equipara il modo in cui i nostri cari comunicano con noi, o con il nostro Io Superiore, che è in ogni caso costantemente immerso nel mondo dello spirito, allo stesso modo in cui può capitarci di attrarre l’attenzione di una persona che si trova in coda davanti a noi, magari alla cassa del supermercato o al semaforo.

La natura del fenomeno legato al sentirsi osservati, è stata, come ci ricorda Hogan, investigato dal biologo Rupert Sheldrake, che ne parla nel libro La mente estesa (Urra Edizioni, 2006). Sarà capitato a tutti, in un momento del genere, se non si ha fretta e non si hanno impegni o preoccupazioni che tengano la nostra mente occupata, di notare che, se ci mettiamo a fissarne la nuca della persona in coda davanti a noi, se questa è ugualmente rilassata, molto probabilmente si girerà a guardarci senza neanche capirne il motivo. Se desideriamo testare questo metodo di proposito, possiamo addirittura immaginare di fare il solletico al soggetto che abbiamo selezionato per l’esperimento: se le circostanze sono quelle di cui abbiamo parlato, questo potrebbe non solo girarsi, ma anche toccarsi la nuca, come se il solletico fosse arrivato davvero.

Ecco un esempio brillante delle condizioni ottimali e delle modalità con cui i nostri cari dall’Aldilà hanno modo di mettersi in contatto con la nostra mente costantemente affaccendata nel corso della nostra vita quotidiana. Il contatto avviene da mente a mente, come del resto avviene anche fra persone fisicamente vive. Il vantaggio di chi comunica dall’Aldilà sta nel fatto di non condividere la miriade di preoccupazioni che ci attanagliano, mentre lo svantaggio sta nel fatto di potersi imbattere nell’incredulità, nella mancanza di aspettativa, in un lutto troppo profondo e soprattutto i pochi argomenti che le nostre piccole menti terrene sono in grado di apprezzare e condividere con chi è invece partecipe di ben altre e più profonde conoscenze.

Della complessità del sapere dei disincarnati sono testimoni le migliaia di persone che hanno vissuto, ricordato e tentato di raccontare un’esperienza di premorte o NDE: quasi sempe queste lamentano il fatto che le parole disponibili nei nostri vocabolari non sono in alcun modo sufficienti a veicolare ciò che hanno vissuto e provato. Pertanto, i messaggi che i nostri cari potranno con più probabilità riusciere a veicolare sono quelli che più spesso ci auguriamo di poter sentire: la conferma che sono vivi e stanno bene, un aiuto o un consiglio a vivere nel modo migliore la nostra vita, un senso di tutela e protezione nei momento difficili.

Da parte dei nostri cari nell’Aldilà, si richiede sicuramente un impegno preciso per veicolare il segno della propria presenza tramite, pensieri, idee, impressioni, sensazioni, immagini. Da parte nostra invece si richiede la comprensione di quanto sia importante avere la mente sgombra da preoccupazioni e disposta a recepire il contatto, anche in momenti inaspettati della giornata.

Immaginiamoci dunque la fatica di attirare l’attenzione di qualcuno che ci porge le spalle semplicemente fissandone la nuca e ricevere in cambio, per tutta risposta, solo il risultato di vedere quella persona girarsi senza sapere il perché, avendo magari provato la sensazione talora anche solo subconscia di essere osservato, ma senza capirne la natura e lo scopo. Poniamoci nei panni dei nostri cari. Poi riflettiamo su occasioni passate in cui effettivamente questo contatto possa essere avvenuto e noi averlo scartato assieme alla miriade di pensieri che ci affollano la mente durante il giorno.

Posso per esempio trovarmi al supermercato, per rimanere in tema, ed essere in dubbio sul se tentare una nuova ricetta, visto che in cucina mi considero una frana, e all’improvviso notare che la radio del supermercato sta mandando in onda una canzone che mi incoraggia a cucinare qualcosa di gustoso perché avrà un effetto speciale proprio come le delizie che preparava la nonna. Coincidenza?

Posso sentirmi un po’ giù perché mi manca tanto mio nonno che mi ha cresciuta ed era sempre così dolce e comprensivo con me, sentirmi sola e quasi disperata al pensiero che adesso nella vita tutto grava sulle mie spalle, e, nell’atto di parcheggiare la macchina vedere davanti a me una vettura con su scritto in eleganti caratteri corsivi “Giulietta”, che è proprio il nome con cui mi chiamava da bambina. Coincidenza?

Un contatto ancora più significativo è quello in cui mi viene tutto d’un tratto in mente un ricordo particolare, associato a una persona cara che fisicamente se n’è andata, qualcosa a cui magari non penso più da anni. Ecco che il contatto da mente a mente assume una connotazione ancora più precisa. Quella persona cara sta appunto riflettendo su quel ricordo e, concentrandosi su di me, è riuscita a veicolarmelo.

Ecco il filo sottile tramite il quale il contatto può arrivare. Ma bisogna esserne consapevoli e pronti ad afferrare quel filo. Proviamo a immaginare come possa essere frustrante per chi pensa a noi dall’Aldilà il fatto di credere che tutto ciò che pensiamo provenga dalla nostra mente, da nostri ragionamenti o dalle nostre fantasticherie.

Instaurare un dialogo è un qualcosa che potrà venire dopo, seguendo la tecnica che ci è più congeniale, ma all’inizio è essenziale capire (ed essere convinti) che la comunicazione avviene sempre, proprio come quando siamo in coda al semaforo e abbiamo troppa fretta di arrivare dove stiamo andando per badare al tizio che ci osserva da un’altra vettura.

Se riusciamo a convincerci che il contatto è possibile per tutti, e avviene in questo modo, potremo rispondere ad esso con gratitudine e ricambiare il pensiero. È proprio così che il contatto da svegli con i nostri cari avviene.

Se riusciamo a cogliere tali pensieri affettuosi mentre siamo affaccendati, proviamo a immaginare quanto più efficace sarà il contatto in un quieto stato meditativo.

Per chi conosce l’inglese, ricordo che il programma di addestramento del Dott. Craig Hogan è disponibile a questo link: http://www.selfguided.spiritualunderstanding.org/.