Faccio seguito all’articolo gentilmente pubblicato in data 19.10.2018 dal Dott. Claudio Pisani per riproporrre quanto già condiviso privatamente più volte con i lettori che me ne hanno fatto richiesta.
La partecipazione a Stansted a centinaia di sedute con medium professionisti, in qualità di interprete, mi è molto giovata ai fini della conoscenza della tecnica medianica in sé.
Quando si approccia un medium per una seduta, è importante che il professionista rimanga completamente all’oscuro di qualsiasi nostra informazione personale, perché anche il più onesto e coscienzioso rischierebbe di utilizzare quelle informazioni e così inconsapevolmente inficiare la seduta.
All’Arthur Findlay College, sede dell’SNU, dove ho appunto lavorato in veste di interpete dal 1994 al 1996, in un periodo in cui internet e i social (vera miniera d’oro di informazioni personali) non avevano ancora preso piede, era tassativamente vietato fornire alcuna informazione al medium, meno che mai dire con chi si desiderava o si sperava di comunicare
– primo perché nella medianità non esiste mai la garanzia di un contatto con uno spirito disincarnato specifico (infatti l’ansia di avere un contatto specifico può addirittura essere fonte di oppressione e insuccesso, così come può avvenire nel contatto diretto con un proprio caro scomparso), e
– secondo perché questa semplice informazione può inquinare e depistare il contatto con il medium, che deve essere del tutto spontaneo e non pilotato nell’esporre le proprie percezioni.
Bisogna quindi diffidare di sedicenti medium che iniziano la seduta chiedendo al consultante CON CHI desidera parlare (il medium NON è un centralino telefonico) perchè rispondere a questa domanda significa già inficiare l’esito di una seduta, che è in primis quello di dimostrare che i nostri cari sopravvivono alla morte del corpo fisico, tramite incontrovertibili prove di idenficazione personale.
Il fatto che in America sia in uso questa prassi non implica che essa possa essere di alcun aiuto ai fini della precisione di un contatto medianico; al contrario, essa non fa che incentivare i cosiddetti cold reading.
Inoltre, nei vari corsi sulla medianità cui ho partecipato a Stansted, si faceva sempre presente che tutti i medium sono sensitivi, ma che non tutti i sensitivi sono medium. Quindi è importante assicurarsi non solo che il professionista non chieda al consultante con chi vuole comunicare, ma anche che egli non gli ponga assolutamente domande sulla sua persona o sui suoi cari, perché non lo si aiuterebbe. Una volta che il medium stabilisce un contatto, descriverà le proprie percezioni, alle quali il consultante potrà rispondere: “Sì”, “No” o “Non lo so”.
Un’altra peculiarità delle sedute medianiche è che, indipendentemente dallo stato di lutto o confusione in cui si trovi il consultante, questi ne uscirà comunque sollevato, rinfrancato, consapevole che esiste una realtà d’amore più grande.
Esiste infatti un codice deontologico che vieta ai medium di infondere negatività o aspettative negative al consultante, in quanto le persone a lutto o le persone più sensibili hanno una fragilità e vulnerabilità acuite, e la responsabilità che il medium ha nei loro confronti è enorme proprio per questo motivo.
È proprio per questo che si richiedono anni di studio e preparazione per esercitare.