Ricordo chiaramente che c’è stata una fase nella mia vita, che va dalla nascita fin verso i cinque/sei anni, in cui ero costantemente felice senza mai avere l’impressione che mi mancasse qualcosa. La mia vita era ricolma di beatitudine e magia ed ero convinta che tutto fosse possibile, Poi, quasi dall’oggi al domani, l’incantesimo si ruppe. Ritengo che ciò sia da ascrivere al fatto che, crescendo e frequentando la scuola, la società cominciò ad interferire con le mie innate conoscenze, insegnandomi che ero un individuo separato e scollegato dal resto del mondo.
Tuttavia, la mia grande curiosità circa i grandi misteri della vita ebbe il sopravvento, e cominciai a leggere ogni sorta di libri a disposizione all’epoca che illustravano in particolare teorie scientifiche sull’universo e la storia dell’umanità, ivi inclusa l’archeologia biblica.
Trovai strano che la ricerca scientifica si basasse tanto sulla premessa che tutto è separato. Così cominciai ad interessarmi ai film di fantascienza, soprattutto se questi si basavano su forti legami affettivi fra le persone. Fu in questo modo che scoccò in me di nuovo la speranza di poter per esempio viaggiare nel tempo, per esempio nel passato, per fare una scelta diversa che evitasse un esito nefasto e portasse per esempio a salvare delle vite (per esempio Déjà Vu e La casa sul lago del tempo. Al momento sto guardando Manifest su Netflix).
Intorno ai 9 anni cominciai a sperimentare dei forti déjà vu, che duravano in genere meno di un minuto, ma che mi proiettavano in uno stato modificato di coscienza molesto sul piano fisico (sentivo come un pugno allo stomaco, un colpo sul naso e un perdurante mal di testa dopo ogni episodio) ma piacevole sul piano mentale, in cui tutto (immagini, suoni, odori, sapori) mi sembrava chiaramente già vissuto. Questi episodi si intensificarono negli anni immediatamente precedenti alla formazione della mia famiglia e si interruppero definitivamente quando nacque nostro figlio.
Intorno al 2014 mi imbattei nelle teorie di Gregg Braden (28 giugno 1954 -), uno scienziato americano che ha collaborato anche con la NASA. Designer esperto di sistemi informatici (Martin Marietta Aerospace), geologo informatico (Phillips Petroleum) e supervisore operativo tecnico (Cisco Systems), Braden è oggi considerato un’autorità nel collegare le conoscenze del passato con la scienza, la medicina e la pace del nostro futuro.
Tra il 1979 e il 1990 Braden ha operato come problem solver durante un’epoca di crisi per le 500 società della Fortune. Oggi continua ad esercitare il problem-solving nell’opera tesa a colmare il divario fra la scienza moderna e la saggezza del nostro passato per giungere a soluzioni concrete alle problematiche che attanagliano le nostre vite.
I suoi viaggi nei remoti villaggi montani, monasteri e templi del passato, uniti al suo background nelle scienze meccaniche, lo qualificano in modo particolare nel saper portare alla ribalta i benefici delle tradizioni del passato nella nostra vita di oggi.
Bradden è autore di almeno 12 opere (tra cui 5 best seller) internazionali pubblicate in più di 40 lingue ed è rinomato come uno dei pionieri nel tracciare un ponte tra scienza e spiritualità.
Ciò che ha portato Gregg Braden ad esprimere determinate teorie è stato, oltre agli studi effettuati da ragazzo e da adulto, l’aver vissuto ben due esperienze di NDE quando era ancora un bambino.
Naturalmente Wikipedia lo colloca nel calderone non meglio definito dei pensatori New-Age, sul quale non mi esprimo.
Bradden spiegava in parole semplici ed accessibili per la mia cultura non tecnica quello che cercavo di capire per identificare il ponte che potrebbe esistere fra scienza e spiritualità. Bradden spiega come per migliaia di anni tradizioni antiche, indigene e fortemente improntate alla spiritualità si basassero sul semplice presupposto che tutto è collegato, laddove la scienza, e successivamente la fisica quantistica abbiano fatto immani sforzi negli ultimi 300 anni per arrivare alle stesse conclusioni, partendo però dal presupposto che tutto è separato.
Le recenti conclusioni di alcuni esperimenti scientifici sembrano avvicinarsi a dimostrare l’effettiva esistenza di campo energetico intelligente (che alcuni definiscono campo quantico, la matrix o Dio). Nelle parole di Bradden:
«1) Il campo contiene tutte le cose: dalla prospettiva in cui la scienza lo vede ora, ogni cosa esiste in questo campo, l’universo esiste in questo campo, e nulla esiste al di fuori di questo campo. Quindi, tutte le cose che succedono, succedono in questo campo.
2) Il campo costituisce un ponte fra noi e il mondo che ci circonda, tra il nostro mondo interiore e quello esteriore. Ciò è importante perché, per esempio, quando offriamo energia di guarigione o una preghiera a una persona che si trova anche al lato opposto della terra, siamo in grado di influenzare le cose grazie a questo campo.
3) L’energia di questo campo costituisce uno specchio che riflette nel mondo che ci circonda ciò che riteniamo essere vero nel nostro mondo: tutti abbiamo convinzioni e aspettative circa ciò che è vero e possibile nel mondo: talora a livello conscio altre volte no; ma, indipendentemente da questo, il mondo conferma sempre quelle che sono le nostre reali convinzioni.
La fisica quantistica sta ora studiando come e perché:
Siamo tutti collegati;
Non ci limitiamo semplicemente ad osservare la realtà, ma contribuiamo fattivamente a crearla tramite le nostre emozioni;
Possiamo trovarci in più luoghi contemporaneamente e viaggiamo attivamente fra le varie dimensioni.»
Queste idee mi hanno aiutato a colmare il divario tra le mie conoscenze innate ed il mio fermo desiderio di ottenere prove di prima mano circa la possibilità di fare cose apparentemente impossibili, quale ad esempio visitare l’Aldilà, viaggiare nel tempo, avere esperienze spiritualmente trasformative (STE) che mi hanno portato a nuove conferme circa il potere dell’aspettativa positiva.
Mi rendo ora conto che il mio bisogno di leggere libri e vedere film che parlassero di questi argomenti e poi cercare prove di prima mano possa essere stato un promemoria (déjà vu compresi) posto in essere da quello che chiamo Io Superiore o Io Completo a beneficio del mio Io Terreno, al di là dello spazio e del tempo, in modo da non deragliare dal mio percorso terreno teso a riscoprire ciò che nella mia prima infanzia era un dato di fatto come anche del fatto che siamo potenti esseri spirituali intimamente interconnessi fra di noi e la Fonte Divina con una identità eterna e indistruttibile.
Mi rendo conto che una persona a lutto che stia cercando conferma che un proprio caro defunto sia ancora vivo abbia assolutamente bisogno di poter attingere all’aspettativa positiva. Ecco perché ritengo che le prove di prima mano ottenute a conferma delle mie conoscenze innate siano fondamentali per dimostrare che la morte non è che il risveglio dalla temporanea illusione che siamo esseri separati e in balia degli eventi e che approfondire queste tematiche sia di grande supporto in tali momenti di sconforto.
Nel 2008 Tommy Laux aveva 50 anni ed era un uomo felice e soddisfatto. Aveva una bellissima compagna, sua moglie Julie, e due figli belli e bravi, Alicea la maggiore, che aveva quasi 20 anni, e Raymond di 18. Tommy era il presidente di un’azienda artigiana di successo che si occupava della produzione di articoli in legno spesso molto singolari (la sua clientela includeva persone famose, liete di poter richiedere la produzione di articoli personalizzati senza la ressa dei cronisti o dei fan che insistono per gli autografi). Lui e i suoi soci erano stati battezzati “I falegnami sovversivi” per la loro originalità. Tommy era anche socio fondatore di un originale gruppo musicale, la cui sede era adiacente all’azienda.
Julie, oltre ad essere una magnifica mamma, conduceva un
lavoro tranquillo presso la scuola, e anche lei si dilettava ogni tanto di scrivere
canzoni e cantarle.
Non aveva mai amato studiare, Tommy. Si considerava una persona semplice ed era solito suddividere le persone in tre categorie: i leader, i seguaci dei leader e quelli che per non dare fastidio si tolgono di mezzo. Non sentendosi né un leader né un sostenitore, Tommy aveva imparato molto presto nella vita a “togliersi di mezzo”. Ma allo stesso modo in cui non ci aveva mai tenuto a competere per un voto alto a scuola, così non si era ritrovato, da adulto, con troppi preconcetti. Questo fatto si sarebbe rivelato molto utile in vista di ciò che poi gli capitò.
Il 20 luglio 2008, Tommy e Julie, residenti a Green Valley (California), stavamo rientrando da una vacanza di pochi giorni in Colorado, dove si erano recati in moto con la loro Harley Davidson del 2007 per partecipare ad un incontro di famiglia con i parenti di Tommy. In particolare stavano rientrando da una visita alla sorella di Tommy presso la sua abitazione di Pueblo e avevamo percorso circa 500 dei 1500 km che li separavano da casa.
Mancava solo una mezz’oretta al raggiungimento della prima tappa, la casa della miglior amica di Julie, dove si sarebbero fermati per una sosta prima di riprendere il viaggio.
La vita per loro, allora come allora, era quanto di meglio potessero desiderare.
Mentre viaggiavano a velocità moderata lungo l’autostrada
50 all’altezza di Montrose (Colorado), un camioncino sbucò fuori dal nulla
compiendo una pericolosissima quanto vietata manovra di svolta a sinistra, parandosi
così proprio davanti a loro: l’impatto fu inevitabile.
Tommy non ha alcun ricordo dello scontro o incidente in sé, a causa del violentissimo trauma che gli procurò la frattura della scatola cranica e lo spappolamento della spalla destra, con lesioni e ammaccature in tutto il corpo. Quello di cui è certo, però, è che sia lui che Julie morirono a seguito dell’impatto e che Julie non sopravvisse all’incidente.
Mentre il corpo di Julie veniva condotto al primo ospedale di Montrose, Tommy veniva rianimato e aerotrasportato in condizioni molto critiche all’ospedale Saint Mary di Grand Junction, a circa 100 km di distanza, dove rimase in coma per quattro giorni. Il fatto davvero unico dell’esperienza che Tommy ebbe in quei giorni è che a seguito di quell’incidente morì non una, ma tre volte.
Ecco il racconto di Tommy:
«A seguito della collisione, Julie e io morimmo entrambi e
io accompagnai Julie in un viaggio dal quale, come appresi subito, lei non
sarebbe ritornata.
È estremamente difficile descrivere a parole quello che
si prova quando si muore. Quello che ho visto e che ho percepito in quella
circostanza non può essere espresso nel linguaggio che conosciamo, ma farò del
mio meglio per darne un’idea.
Come mi fu poi confermato dai medici, anche dopo la
rianimazione le mie condizioni rimanevano gravissime e la prognosi appariva
decisamente infausta.
Quello che ricordo io, invece, è che mi trovavo ora in un’altra, e in qualche modo più elevata, dimensione della coscienza, fuori dal corpo, e vedevo e percepivo tutto da una prospettiva completamente diversa, quella dell’anima.
È già difficile di per sé parlare di un’esperienza così, e lo è ancor di più per un falegname “sovversivo” come ero stato soprannominato: come fare a spiegare che mi fu mostrato uno spiraglio di eternità, un assaggio d’infinito e finanche della morte? La mia morte e non solo: la morte senza possibilità di appello della mia anima gemella… o forse dovrei dire trasformazione della coscienza e della consapevolezza?
Quello che si prova, o che comunque provai, in quel momento fu la sensazione che la mia anima venisse rimossa dalla sua forma fisica e condizione umana. Il mio spirito, o anima che dir si voglia, era più vivo che mai dopo aver lasciato le limitazioni del corpo che lo avevano vincolato fino a quel momento.
Sentii che Julie ed io eravamo tornati a Casa, ci eravamo finalmente ricongiunti con il Grande Spirito, Dio, l’Universo o qualsiasi etichetta noi umani sentiamo di poter usare per definire questo inesplicabile concetto. A volte ci fissiamo talmente sul senso letterale di una parola da perdere la cognizione dei suoi reali significati. Ci ritrovammo liberi, fuori dal tempo e dallo spazio. Julie ed io eravamo ora parte di quel Grande Spirito, così come i grandi Maestri che mi fu dato di incontrare.
Come mi sentivo? All’improvviso non avevo limite alcuno, non avevo timore alcuno, ero libero di vedere qualsiasi cosa, libero di vedere qualsiasi persona e di essere ovunque volessi. Ad ogni mia domanda corrispondeva una risposta e una soluzione ad ogni problema, con l’intima consapevolezza che gli unici problemi sulla Terra sono quelli che ci creano noi. Come ho detto, è difficile descrivere un’esperienza dalla quale la maggior parte delle persone non ritorna.
Mi furono mostrati non solo i miei ultimi cinquant’anni di vita ma anche tutte le singole diramazioni “alternative” che la mia vita avrebbe potuto prendere nel passato, nel presente e nel futuro, e le conseguenze che ne sarebbero a propria volta scaturite. Quello che molti chiamano “revisione di vita” non lo vidi da spettatore, ma lo vissi in ogni sua singola sfaccettatura: in altre parole vissi anche tutti i possibili esiti di ogni singolo evento possibile, nel passato, nel presente e nel futuro. E tutto aveva senso per me: ogni evento mi pareva un sogno bellissimo, ma molto più vivido e brillante della realtà. In pratica compresi come, grazie al nostro libero arbitrio, se la nostra vita fosse un film, allora noi ne saremmo l’autore, il produttore, il regista e uno degli attori, e questo metaforico film lo possiamo non solo guardare ma vivere. So con certezza che tutti noi siamo esseri multidimensionali.
Ho ricevuto molti doni in questa vita, primo fra tutti l’AMORE. Ogni volta in cui sento parlare delle sofferenze immani causate dal lutto per la perdita di una persona cara mi rendo conto di quanto sia stato fortunato a poter essere lì assieme a mia moglie a condividere in pieno quel momento con lei, e probabilmente anche a prendere la decisione di chi dei due sarebbe tornato. Lì, fuori dal tempo (che nei momenti dolorosi fa sembrare questa vita fisica un’eternità), mi sentii finalmente arrivato a Casa. Tuttavia compresi che, sebbene Julie fosse la benvenuta, io dovevo tornare alla vita terrena per poter star vicino ai nostri due figli. Alla luce di quanto appreso accettai, ma quando rientrai nel mio corpo fui schiacciato dall’enormità del dolore che il mio fisico martoriato provava e dalla consapevolezza che mia moglie non sarebbe tornata. E allora mi ribellai: a questo punto subii un secondo arresto cardiaco.
Ancora una volta mi sento in difficoltà a trovare le parole per spiegare l’infusione di conoscenza che si accompagnò a quel ritorno nel Mondo dello Spirito e a quella seconda revisione di vita. Fu come il download di un enorme numero di file, molto più massiccio del precedente, in cui mi veniva infusa enorme saggezza e conoscenza di prima mano, quella che viene, non dallo studio teorico, ma dall’esperienza diretta. Infatti mia moglie mi aveva sempre definito un San Tommaso a causa della mia necessità di toccare con mano qualcosa prima di poter dire di conoscerla. E adesso questa fonte di conoscenza diretta era a mia completa disposizione. Tornato in Paradiso questa nuova infusione di saggezza mi diede una cognizione molto più profonda dei concetti di vita e morte e del mio ruolo nel tutto: come le altre persone che hanno vissuto una NDE, compresi quanto questa vita fisica sia un attimo rispetto all’eternità. Accettai il secondo invito a tornare a questa vita fisica per i miei figli e i medici riuscirono a rianimarmi.
Nonostante la chiarezza e saggezza molto più profondi che mi avevano indotto a tornare a questa vita, l’impatto con il mio corpo mi riuscì ancora una volta inaccettabile, non solo per il dolore fisico ma anche per il peso enorme associato al lutto che avrei dovuto gestire nella mia famiglia e nella mia vita per la prematura morte di Julie. Anche se non volevo crederci, sapevo che in particolare mio figlio Raymond, all’epoca diciottenne, avrebbe potuto soffrire in modo indescrivibile per la perdita della mamma, dolore che a me veniva in parte risparmiato, rendendomi però per alcuni aspetti impotente nei riguardi delle persone a me più care.
Immaginate di tornare da un viaggio in cui vi è stata data la soluzione per tutti i problemi che affliggono il mondo e di rendervi conto che non esistono problemi che non siano creati da altri che da noi stessi. Di nuovo sentii di non potercela fare ed ebbi un terzo arresto cardiaco.
Tornato nel Mondo dello Spirito libero dal mio corpo, ebbi l’esperienza più profonda e complessa che abbia mai avuto e che potessi mai immaginare: compresi che tutto aveva senso, tutto aveva un suo preciso significato. Fu come se tutto il creato mi esplodesse dentro, svelandosi così a me. Compresi il senso profondo di dover tornare, non solo per i miei figli e la mia famiglia, ma anche per condividere questa esperienza con quante più persone scegliessero di ascoltarmi o avessero bisogno di sapere. Compresi che ne valeva la pena.
Tutto aveva un senso per me: l’unica resistenza a tornare da questo terzo viaggio era questa percezione che gli umani abbiano bisogno di un Ego e che le illusioni su cui si fonda l’Ego (paura, egoismo, odio, senso di penuria, senso di colpa, convinzione che non esiste altro al di fuori del mondo materiale, ecc.) sono da migliaia di anni alla radice dei problemi del mondo. E una delle connotazioni dell’Ego è proprio il fatto che esso non è in grado di vedere se stesso, ma teme disperatamente il proprio annullamento e per questo lotta in ogni modo per la propria sopravvivenza.
Nel mondo dello spirito, invece, non abbiamo un Ego e la nostra vera identità spirituale è libera di rifulgere.
Al mio risveglio dal coma, sapevo con certezza che Julie era morta (in effetti, anche in considerazione dell’incertezza circa la mia sorte, il suo funerale era già stato celebrato), ma mi ci volle qualche tempo per ricordare le mie esperienze di premorte. Sebbene le abbia qui suddivise in tre episodi perché ci furono tre arresti cardiaci, tre revisioni di vita, tre infusioni di saggezza e conoscenza e due tentativi falliti di rientrare nel corpo fisico, per me che ero fuori dal tempo si tratta di un’unica esperienza.
Mi resi conto dopo il mio ritorno che esisteva una porta aperta fra questa dimensione e quello che molti chiamano l’Aldilà o Oltrevita. Mi resi conto che quella porta c’era sempre stata ma adesso ne ero finalmente cosciente.
Sebbene fossi una persona semplice, il fatto di non aver approfondito gli studi mi aveva tutelato da molti preconcetti, e pur riconoscendo la mia stupidità di un tempo, mi ritenni fortunato di non avere troppi pregiudizi di cui l’Ego potesse nutrirsi.
Mi occupavo di falegnameria, scrivevo musica, canzoni e
poesie, cantavo in un gruppo musicale. Tuttavia c’era qualcosa che mi aveva
sempre contraddistinto e che compresi solo dopo la mia esperienza di premorte:
i miei scritti creativi arrivavano in modo del tutto fluido, specie al mattino
presto e, dopo quell’esperienza, ne ritrovai tantissimi di quegli scritti che
andavano indietro anche di trent’anni e che all’improvviso avevano senso.
Compresi che lo scrivere al mattino presto era un modo tramite il quale il mio spirito, libero dall’Ego e dal tempo lineare come lo conosciamo noi, poteva esprimersi liberamente.
Mi capita tuttora di scrivere cose che tendono ad avere
perfettamente senso “dopo” essere state scritte.
La porta aperta di cui parlo non riguarda soltanto gli scritti ispirati che mi arrivano: sento costantemente vicino a me mia moglie Julie, e, da quando è mancato nel 2016, anche mio figlio Raymond.
In effetti fui condotto qualche tempo dopo la mia NDE presso
una psicoterapeuta con l’intenzione di aiutarmi a superare il “lutto”. Ricordo
il momento in cui la dottoressa mi chiese se sognavo. Le risposi: «Certo! Come
tutti, no?» E lei incalzò: «Ma sogni mai Julie?» Le risposi: «Julie è qui con
me in questo momento: se questo significa sognare vuol dire che in questo
momento sto sognando».
Ho chiesto a Tommy in che modo percepisce la presenza dei
trapassati e lui mi ha risposto che, sebbene invisibili ai propri occhi fisici,
ne percepisce chiaramente la presenza. Mi ha anche detto che a volte è lui ad
andare a trovare loro mentre a volte sono loro a venire a trovare lui e che il
sonno è uno dei momenti più adatti a questi viaggi dello spirito: «È lo spirito
a portarmi lì. Non cerco di controllare la cosa. È come vivere con un piede nella
dimensione terrena e uno in quella dello spirito».
Ho chiesto Tommy in che modo riuscisse ad affinare questo
contatto e lui mi ha detto che lo fa “spegnendo il cervello”, ponendosi in uno
stato di “non-pensiero”, che alcuni chiamano meditazione, altri preghiera
e altri sogno ad occhi aperti. Lo scopo fondamentale di questa pratica è
quella di spegnere l’Ego, fonte della nostra paura della morte ed incapace di
vedere se stesso. «Preghiera è solo uno dei modi in cui definiamo la
meditazione o il pensiero/energia concentrati. La maggior parte dei nostri
credo non sono precisi, la verità è l’AMORE. Dio è AMORE».
Tommy mi dice di essere tornato soprattutto con una grande consapevolezza della propria responsabilità. Sa di avere un importante messaggio da condividere e che continuerà a farlo fino alla fine dei suoi giorni. Sa anche che ciascuno è libero di interpretare e comprendere il suo messaggio in base alle proprie esperienze e al contesto culturale che conosce e/o condivide. Ha sottolineato come ciascuno di noi ha sempre una scelta: quel libero arbitrio che riguarda la nostra esistenza; anche il modo in cui il suo messaggio viene recepito, per quanto espresso in buona fede, dipende dal libero arbitrio di chi lo riceve, lo decodifica e lo interpreta.
Quando gli ho chiesto se lui è Julie avessero preso un accordo su chi di loro due sarebbe tornato, dice di avere la cognizione che entrambi avessero questa scelta, che tale accordo ci sia stato, ma di non averne precisa memoria.
È singolare il fatto che il 10 settembre dell’anno 2001, il giorno prima di quell’11 settembre che probabilmente nessuno di noi mai dimenticherà, Julie sia stata immortalata in un video, ora su YouTube, mentre canta una canzone scritta da lei, il cui ritornello è “Take me Home… to Paradise” (“Portami a Casa… in Paradiso”).
Tommy si sente immensamente fortunato per aver potuto compiere quel viaggio con Julie, quel viaggio dal quale è stato così riluttante a tornare. Ha riportato con sé la certezza che la vita e l’amore sono per sempre, e la presenza costante di Julie e ora anche Raymond con sé.
Tommy aggiunge: «Che la connessione al Grande Spirito/al Divino sia forte, debole o neutra, in questo momento della mia evoluzione personale so che il Divino è il Potere dell’Amore su ogni cosa, e NON certo l’amore del potere su ogni cosa. Adesso, quando penso al Paradiso, mi rendo conto che la Terra è parte di esso, anche se noi umani siamo capaci di farne un inferno.
Quello che spaventa l’Ego e la fine di se stesso, ma la
morte non è che un nuovo inizio.
Mentre ricordo questa esperienza mi sento trasportato in
quella meravigliosa dimensione immersa in una pace e beatitudine senza tempo. Ci
vado spesso con lo spirito, quando sono da solo e mi è concesso di potermi affacciare
su questa meravigliosa dimensione che è dentro di me. La si può chiamare
meditazione o preghiera o sogno ad occhi aperti. Qualsiasi nome va bene.
Quando parlo di “dimensione interiore” parlo appunto di
ciò che mi permette di proiettarmi nell’essenza della fonte della vita stessa. Riesco
a vedere la mia forma umana più o meno controllata dall’Ego che combatte con la
mia anima libera, nel tentativo di riportarla in questa forma e in questa
realtà. All’Ego viene insegnato di temere la propria morte.
È mio desiderio scrivere molto di più su questo argomento, per aiutare chiunque possa trarre beneficio da questo tipo di messaggio. Ma sento che in primo luogo sono tornato per aiutare me stesso. Sono tornato per imparare e poi insegnare quanto appreso ai miei cari, primi fra tutti i nostri figli, che sono il riflesso della loro mamma e mio.
Mi commuovo sempre al pensiero di nostro figlio Raymond, dello sforzo fatto per trasfondere anche in lui queste certezze e del fatto di essere comunque riuscito in qualche modo a raggiungere la sua anima, al di là del suo cuore spezzato, prima che anche lui nel 2016 lasciasse questa Terra per raggiungere la mamma».
Ho chiesto per un’ultima volta a Tommy come il fatto di aver condiviso con Julie questa esperienza (essere tornati a Casa insieme, essersi sentito parte del Divino insieme, sebbene lui non abbia attraversato la soglia che Julie ha attraversato) cambia le cose. Mi ha risposto: «Sì, quell’essere insieme non mi ha mai più abbandonato. Una volta che si attraversa in modo consapevole quella porta di cui ho già parlato e che è sempre aperta, essa rimane distintamente aperta come lo era già prima, ma in modo evidente. Lo stesso vale per Dio: non esiste alcuna separazione se non quella che noi esseri umani creiamo».
Tommy Joe Laux è l’autore del saggio in fase di pubblicazione EGONOMICS 101: The Awakening Has Begun… Within or Without You. È possibile contattarlo all’indirizzo e-mail smilenfish@gmail.com. Il suo account Facebook è https://www.facebook.com/tommy.laux.3. All’epoca dei fatti era il presidente dell’azienda TLC Woodworks, INC., presentata in questo reality del 2008
(girato in parte prima e in parte dopo l’incidente), e socio fondatore del gruppo musicale Smile ‘N’ Fish band. Ecco un link al video del 10 settembre 2001 in cui Julie canta la canzone da lei scritta “Take me Home”:
Essendo sempre stata curiosa circa quello che succede dopo la morte, ho passato gran parte della mia vita a studiare e far ricerche sull’argomento dai più disparati punti di vista:
Leggendo resoconti di prima mano circa contatti con l’Aldilà da parte di medium che operavano in trance profonda nel XIX secolo e nella prima parte del XX secolo.
Partecipando a corsi sulla medianità tenuti da medium professionisti.
Intervistando persone che avessero avuto personalmente un’esperienza di premorte.
Leggendo libri o articoli scritti da altri ricercatori sul Dopo-Vita o Oltre-Vita e sul soprannaturale.
Esplorando personalmente l’Aldilà tramite la medicazione, il sogno lucido (sogni in cui si è consapevoli di stare sognando) ed esperienze fuori dal corpo.
Collaborando in vari modi e il più possibile con altri ricercatori sul Dopo-Vita o Oltre-Vita per poter ottenere prove e riscontri circa le scoperte o conclusioni che poteva capitarci di trarre.
Le esperienze più intense e commoventi nate da contatti regolari con altri ricercatori sono state quelle avute nel periodo che va dal 2002 al 2012, quando facevo attivamente parte di un piccolo forum americano che aveva circa 20 iscritti provenienti da tutto il mondo e che condividevano il mutuo interesse per argomenti di natura spirituale. Era più di un semplice forum: eravamo una piccola famiglia, anche se nella maggior parte dei casi non ci conoscevamo di persona ma ci eravamo conosciuti online e avevamo al massimo avuto scambi telefonici. Avevamo in comune l’esperienza di aver perso almeno una persona cara nella vita e il fatto di essere desiderosi di poterla ricontattare.
I fondatori di qui questo forum erano David e Judy Pierce, una coppia americana le cui vite erano state sconvolte e cambiate per sempre dalla perdita improvvisa della loro adorata figlia quattordicenne Lilli a causa di un incidente verificatosi mentre attraversava la strada di ritorno dal cinema con un gruppo di amici un tragico venerdì pomeriggio del 12 novembre 1999. David e Judy sono anche i fondatori dell’associazione Friends Along the Road che si impegna fin da allora nel settore dell’aiuto alle persone a lutto tramite l’amministrazione di forum e gruppi Facebook dedicati e tramite ogni sorta di attività ed eventi finalizzati ad offrire conforto e amorevole sostegno alle persone a lutto, uno spazio virtuale in cui riposare e cercare sollievo lungo il cammino.
Una delle molte attività di questo forum molto privato era quella che veniva chiamata “Astral party”, che come il nome suggerisce aveva un che di goliardico, se mi si consente la parola, per alleggerire lo spirito con il quale veniva organizzato e gestito. Proprio perché i partecipanti erano residenti nelle più svariate aree geografiche, con fusi orari molto diversi fra di loro, questi party costituivano una sorta di incontro virtuale che poteva durare anche diversi giorni. Venivano spesso tenuti in concomitanza con il compleanno di uno dei partecipanti (oggi per esempio è il compleanno di Simona) oppure potevano essere non relazionati ad alcun evento particolare se non al plenilunio, che, secondo studi di svariata natura avrebbe per una gran percentuale di persone, un effetto sui sogni, che risulterebbero anche nel periodo immediatamente precedente e successivo alla luna piena particolarmente intensi, vividi e suggestivi.
Scopo comune era quello di poter avere un’esperienza transpersonale e/o inusuale, come contattare una persona cara nell’Aldilà o poter ricevere ispirazione su un argomento di proprio interesse. Fissata la data, o le date, ciascun partecipante si sentiva particolarmente motivato a ricevere in quei giorni un’esperienza particolare, che poteva manifestarsi in modi diversi, a seconda dell’approccio e delle proprie inclinazioni, fosse essa la meditazione, il sogno, o il sogno lucido, eccetera.
L’esistenza di un’intenzione comune ci permetteva di concentrare le nostre intenzioni (per quanto personali e non necessariamente condivise con gli altri) come un raggio laser, portando molto spesso a risultati sbalorditivi.
Molte delle esperienze più interessanti antecedenti al 2012 di cui parlo nei miei libri e articoli sono nate grazie a questo tipo di esperienza di gruppo.
Si sono verificati anche casi in cui ospiti occasionali che non parlavano neanche l’inglese e si aggregavano per una sola volta a questo tipo di esperimento abbiano ottenuto grazie all’appoggio del gruppo e al contesto positivo che qui trovavano delle esperienze davvero eccezionali. Tali risultati sono la dimostrazione di quanto motivante ed efficace potesse rivelarsi il connubio tra aspettativa positiva e il genuino desiderio condiviso da parte dei partecipanti di quel piccolo gruppo di esploratori, Indipendentemente dal percorso individuale e dalle circostanze dei singoli. Il forum si chiama Lilli Pierce and the Big Trip per il quale ringrazio sempre la continua dedizione e il preziosissimo contributo di David e Judy Pierce.
La collana propone 11 mini eBook destinati a condividere le esperienze maturate in quasi 30 anni di esperienze astrali e di contatto con le cosiddette “dimensioni invisibili”, in particolare per chi ha già letto il libro L’aldilà è a portata di mano.
Mentre i primi libri usciti nel 2014 erano esclusivamente incentrati sul Dopo-Vita e sull’eterna interconnessione fra incarnati e disincarnati, con questa collana illustrerà come, applicando i medesimi principi che permettono di colmare le distanze che sembrano esistere fra noi e i nostri cari nell’Aldilà, sia possibile colmare qualsiasi distanza fra noi e… ciò che maggiormente desideriamo.
Per il momento sono usciti i primi due mini Kindle
un manualetto pratico per chi si approccia per la prima volta alle esperienze fuori dal corpo e parla di:
– Cosa intendo per “esperienze fuori dal corpo” o viaggi astrali (con l’aiuto di qualche aneddoto circa alcune esperienze significative) e perché il termine “fuori” non sia necessariamente appropriato a descrivere questo fenomeno.
– Come e perché le esperienze fuori dal corpo siano da considerarsi un fenomeno del tutto naturale, quanto essere svegli, meditare o sognare: capire qualcosa in più sulla loro natura non significa affiliarsi a una corrente esoterica od occulta, ma solo approfondire uno stato di coscienza che è alla portata di tutti.
– Il testo include inoltre ben 8 esercizi di simulazione (più alcune varianti), presentati di pari passo con le argomentazioni teoriche, allo scopo di offrire al lettore delle tecniche mirate che, se perseguite con tenacia e perseveranza anche solo pochi minuti al giorno, potranno non solo familiarizzarlo con cautela con l’esperienza in sé, ma con il tempo anche permettergli di indurla.
Alla serie si accompagna una collana di Workbook, o libri di esercizi in versione cartacea. il primo libro di esercizi associato alla collana La magia del piano astrale. Appunti di viaggio dai mondi sottili è dedicato ai succitati e-book, e vuole offrire al lettore, che nella versione digitale trova immagini a colori e link attivi, un’alternativa personalizzabile, una sorta di giornale di bordo, che al testo alterna spazi personali con pagine da compilare, domande a cui rispondere, ricordi da trascrivere e pagine da colorare. Il testo include anche un capitolo aggiuntivo sui sogni e come ricordarli al meglio.
Per i lettori è disponibile un gruppo FB privato al quale fare riferimento per quesiti di natura tecnica o per scaricare in modo più veloce strumenti utili ai fini di una proficua lettura.
IN PROMOZIONE A PREZZO DI COSTO FINO AL 30 GIUGNO 2019. Inoltre, ci sono ancora a disposizione alcune copie omaggio: chi ne volesse fare richiesta può scrivermi all’indirizzo e-mail: giulia.jeary.knap@gmail.com. Grazie.
I have now worked as a professional translator and interpreter for over 30 years, here in Italy. In fact, ever since I was a child, everyone used to ask me to assist when English-speaking people were around, as my mum is English. Therefore, I found out from a very early age how delightful it felt to help people understand one another. I guess this is one of the reasons I have always been extremely interested in after-death communication and mediumship, as mediums too are trained to help people communicate with one another even though one of the parties involved is in the Spirit World.
From a young age, I have also always had a keen curiosity about life’s great mysteries. I remember I was around nine when I started experiencing intense episodes of déjà vu. I later ascribed these to my fascination with time travel and being able to move instantly in space or between dimensions in order to pursue my dreams. Here is why I believe that, during my teens, I started experiencing sleep paralysis, though it was only in my late 20s that I found out that this phenomenon could lead to astral travel and the possibility of actually ‘visiting’ the Afterlife and checking on departed loved ones.
I was 14 when Dr. Raymond Moody’s groundbreaking book about near-death experiences, Life after Life, was first published and this opened up for me a whole new world I wished to explore. Reading led to further reading and I was able to fuel my fascination with the idea that our lives are not merely the products of chance, but are part of a bigger plan.
The most exciting experience involving my work was acting as an interpreter for professional mediums in the ‘90s, during the Italian Week organised by the Arthur Findlay College in the UK, and other similar events. This gave me the opportunity to witness hundreds of private sittings, dozens of public demonstrations of mediumship, as well as lectures and workshops about how mediumship works. The sittings did not only provide me with moving evidence about the fact that life continues after death and professional mediums can make communication with our loved ones possible, but also offered me the delightful chance of personally contributing to these get-togethers, in my capacity as a translator.
The Arthur Findlay College in Stansted (UK)
The three most important things I learnt during those years in which I was exposed to constant firsthand evidence provided by professional mediums were:
Not only does life safely continue after death, but our personality is indestructible. Freed from the limitations of physical existence, those who were close to us in this physical life are even closer to us when they leave this world and their love for us increases in an immeasurable way.
Whereas professional mediums are specially gifted and trained to offer this evidence on behalf of third parties, everyone is able to safely stay in touch with their loved ones on the so-called ‘other side’ as we are all made of the same essence – spirit – and we are all connected beyond (that is before and after) our entry in three-dimensional space and linear time. Also the departed find it easier to stay in touch with those they love than with people they never knew.
Firsthand accounts about transition, after-death existence, near-death experiences and death-bed visions hugely expand our chances of connecting with our loved ones: this happens because beliefs and expectations play a key role in determining what is possible for us, as also quantum physics has at last been able to prove.
I felt an urgency to share these powerful understandings, so I wrote The Afterlife: Hereafter and Here at Hand. This book focuses on three different approaches to staying in touch – while awake, while falling asleep and while asleep. However, before tackling techniques, it addresses some very straightforward questions and doubts readers may have about what happens at the time of physical death: where we go, what we do, what sort of existence we have and how we relate to our incarnate loved ones. This information is drawn from firsthand accounts mainly coming from three different sources:
My own personal experiences during meditation, while falling asleep or waking up, lucid or ordinary dreaming and astral travel.
Mediumistic accounts about transition and life after death.
Near-death experiences and deathbed visions.
I have found that (especially at times of deep grief, when our whole system can be shocked out of its everyday balance and patience with ourselves is of paramount importance) reading firsthand accounts about the Afterlife can work as a powerful reminder that after-death communication is just as natural as any other form of communication.
L’Aldilà e la vita dopo la morte sono temi che mi hanno sempre incuriosito e appassionato. Proprio per questo, prima ancora di cominciare ad avere spontanee esperienze fuori dal corpo intorno ai 29 anni, avevo già passato gran parte del mio tempo a fare ricerche sull’argomento.
La mia fortuna è stata quella di aver cominciato a pormi domande e a cercare risposte sull’Aldilà parecchi anni prima di essere colpita dal lutto per la perdita di una persona cara. Rircodo infatti di aver avuto l’opportunità di parlare dell’argomento con entrambe le mie nonne, sia da piccola che da giovane adulta.
Negli anni, questo si è rivelato un enorme vantaggio, sia perchè da bambini si è molto più aperti a recepire concetti che esulano dalla realtà fisica oridinaria, sia perchè (come avrei poi scoperto a mie spese) quando si soffre per la perdita di una persona cara le certezze che non sono fondate su convinzioni profonde possono essere messe a dura prova. Il lutto e la sofferenza per la morte fisica di una persona cara possono costituire uno shock, un terremoto emotivo che può portarci a mettere seriamente in discussione ciò che magari prima contemplavamo solo in teoria. Come ho potuto constatare di persona, può volerci davvero tanta pazienza per elaborare il lutto per la perdita fisica di una persona cara, anche quando si hanno esperienze di prima mano circa l’esistenza di un dopo-vita e la possibilità di rimanere in contatto con chi fisicamente non c’è più.
In particolare, i sogni, i sogni lucidi (sogni in cui si è consapevoli di sognare) e, dopo un cauto periodo di rodaggio, le cosiddette esperienze fuori dal corpo mi hanno permesso negli anni di maturare conoscenze basate su esperienze di prima mano, che almeno per me si sono rivelate essenziali per rendermi conto che il corpo fisico costituisce un veicolo temporaneo e che la coscienza è in grado di esplorare altre dimensioni che sono ugualmente reali e tangibili quanto quelle esperite sul piano fisico.
Dopo oltre un migliaio di OBE e centinaia di esperienze transpersonali, ci sono in particolare cinque miti che desidero sfatare sull’Aldilà:
1. Non c’è nulla di morboso o patologico nel sentire il bisogno di tenersi in contatto
Avendo personalmente ricevuto un’educazione religiosa superficiale e incapace di rispondere ai miei quesiti sulla vita dopo la morte del corpo fisico, l’unica risposta ricevuta alle mie ostinate domande sull’argomento a catechismo era che i morti devono “riposare in pace”, che anzi non vanno “disturbati” o “distratti” dal proprio percorso di espiazione o evoluzione e che il nostro unico compito è pregare per la salvezza della loro anima.
Al contrario, in tutte le mie esperienze di contatto diretto con i defunti, cui si sono aggiunte quelle vissute tramite tecniche meditative finalizzate al contatto medianico, ho avuto modo di appurare che i nostri cari sono desiderosi di farci sapere che sono vivi, guariti da eventuali malattie o traumi fisico, felici, al sicuro e desiderosi di far parte delle nostre vite, vigilare su di noi e guidarci.
Ho anche scoperto che il fatto di sentire improvvisamente l’assenza di un proprio caro o pensare all’improvviso a lui o lei sono entrambi vividi segnali chegli spiriti disincarnatiusano per farci sentire la loro presenza e vicinanza, proprio come succede talora quando pensiamo a una persona e nel contempo questa ci telefona o bussa alla porta.
2. Ogni religione o sistema di credenze incentrato sull’amore è ugualmente prezioso
Da piccola mi chiedevo come mai per esempio, i comunisti dell’Est Europa nati e cresciuti in un contesto ateo fossero destinati a bruciare per sempre all’inferno.
Successivamente, alla fine degli anni ‘90, mi sono imbattuta in una nuova forma di fanatismo dogmatico, secondo la quale chi muore con un determinato sistema di credenze può andare incontro a pericoli nell’Aldilà, in quanto le nostre aspettative danno luogo e forma alla nostra destinazione nel dopo-vita. In casi estremi, questi derelitti non si renderebbero nemmeno conto di essere morti, non troverebbero nessuno a riceverli nell’Aldilà e dipenderebbero dal buon cuore dei viventi che frequentano specifici corsi di “recupero” finalizzati ad attirarne l’attenzione e a portarli alla Reception del Paradiso.
Con il tempo, mi sono resa conto che, fatta eccezione per le tante persone che portano avanti questi discorsi in buona fede, ogni forma di fondamentalismo dogmatico nasce al fine di manipolare e controllare il prossimo, vuoi per paura, vuoi per denaro, vuoi per potere, vuoi per un semplice bisogno di gratificare il proprio Ego. E quale manipolazione migliore di quella di proiettare nell’Aldilà le medesime dinamiche distruttive che possono verificarsi sul piano fisico? Ed ecco profilarsi scenari terrificanti, quale la dannazione eterna, la reincarnazione forzosa nel tempo lineare o addirittura la “seconda morte” o morte definitiva dell’anima.
Al contrario, in base alle esperienze maturate e raccolte anche dallo studio delle NDE o esperienze di premorte, non c’è proprio nulla di male nel maturare o attenersi a uno specifico sistema di credenze nel corso della vita fisica. Quest’ultima è appunto finalizzata all’esplorazione e alla creazione in un contesto inconcepibile per gli spiriti mai incarnati (che conoscono solo il puro amore incondizionato). L’importante appunto è sentire o riscoprire la centralità dell’amore, dell’amor proprio e dell’amore per il prossimo, anche se spesso ci si dimentica dell’importanza di volersi bene.
Infatti, coloro che sono morti e hanno avuto modo di tornare o di comunicare in qualsivoglia maniera, insistono sul fatto che l’amore è l’essenza di tutto e che la morte è un gioioso ricongiungimento con la nostra vera essenza, con i nostri cari e con il tutto.
3. La morte non è un momento di smarrimento ma di risveglio
Quando abbandoniamo il piano fisico e ci risvegliamo dall’illusione che la vita di spiriti incarnati comporta, abbandoniamo anche il tempo lineare a lo spazio tridimensionale. Sebbene i nostri cari possano, dopo la morte, vivere una fase di sonno ristoratore (come lo definisce il ricercato Ernesto Bozzano), una revisione di vita e una fase di riflessione introspettiva su quella che è stata la propria vita su questo piano, queste fasi non si verificano nel nostro tempo fisico e non possono condizionare la possibilità che i nostri cari hanno di far sentire la propria presenza attorno a noi.
In altre parole, la morte è un’esperienza molto delicata, delicata e semplice, che il grande ricercatore nel campo dei fenomeni psichici e medium W.T. Stead ebbe a descrivere “come il passaggio da una stanza a un’altra”. Sebbene essa possa comportare una fase di frustrazione nella constatazione che il nostro spirito disincarnato non sia visibile ai nostri cari che ci piangono, a questo si accompagna subito il conforto che le persone care rimaste fisicamente in vita si risveglieranno dal sogno in cui sono immersi in un batter d’occhio, per quanto li riguarda, proprio perché con il trapasso si esce dal tempo lineare.
Anche lo spirito di persone malvagie, come l’ex-ufficiale nazista menzionato nel libro Visioni dell’Aldilà del Dott. John Lerma, che durante uno stato di coma visse un’esperienza all’insegna dell’oscurità e del senso di colpa che gli sembrò durasse dei secoli, non è soggetto al nostro tempo lineare.
Chi, ipotizzando l’esistenza della dannazione eterna, non prende ad esempio crudeltà e sadismo, come nel caso dei responsabili dello sterminio degli ebrei in occasione della II Guerra Mondiale?
Questo paziente, che dopo la guerra era emigrato in Sud America e non aveva confessato neanche a sua moglie le proprie malvagità, prima di morire cadde in coma e visse un’esperienza di premorte in cui si ritrovò in una sorta di caverna oscura, assieme a spiriti di persone che si erano macchiati di crimini analoghi. Schiacciato dal senso di colpa che gravava sulla propria coscienza, gli ci vollero quelli che gli parvero secoli per chiedere aiuto e per accettare il riscatto che rivivere l’effetto delle proprie azioni sugli altri gli avrebbe donato. Tuttavia, quando si risvegliò dal coma erano passate soltanto 48 ore, ed ebbe il tempo di condividere con il Dott. Lerma la sua esperienza prima di morire
Da ultimo, ma non da meno, noi uomini siamo esseri multidimensionali e abbiamo modo, se lo desideriamo, di vivere la nostra esistenza su vari piani e in varie modalità: di qui anche il concetto di reincarnazione, che può, se interpretato alla luce dei nostri concetti terreni di spazio e tempo, anche dar luogo al timore di non ritrovare al momento della morte un proprio caro, perché ipoteticamente impegnato a vivere un’altra vita. Tuttavia, sulla base di quanto ci dicono i sopravvissuti a una esperienza di premorte o NDE, qualora venga ricordata più di una esistenza, queste sono percepite come “simultanee” e in nessun modo in grado di pregiudicare la nostra identità personale unica e indistruttibile. Questo significa che non perdiamo mai di vista i nostri cari. Il mio libro Looking Beyond the Fishbowl: A New Comforting Perspective on Reincarnation (attualmente in fase di ampliamento in italiano La verità sulla reincarnazione: Conforto e sollievo da un concetto spesso ambiguo), è interamente dedicato a dipanare la matassa dei preconcetti e dei possibili timori che possano affliggere una persona a lutto quando si confronta con la letteratura su questo argomento.
4. Non esistono spiriti inferiori legati alla terra che possano infestare, possedere o altrimenti intromettersi nelle nostre vite
La morte non comporta l’esigenza o necessità di “passare oltre” e abbandonare un piano per poter proseguire la propria esistenza in un altro. In altre parole non esiste con la morte l’esigenza di andare altrove.
Non ci sono spiriti intrappolati cui sia dato tormentare i vivi o infestare case e persone come la letteratura e cinematografia horror sul dopo-vita suggeriscono. Al contrario siamo attorniati da creature angeliche che ci proteggono e ci guidano costantemente.
Anche se il dopo-vita comporta per gli adulti una fase di presa di coscienza, adeguamento, riflessione introspettiva, questa è di natura personale e individuale, e, come già accennato, non si verifica nel nostro tempo. Tutti noi, i cosiddetti “vivi”, così come i cosiddetti “morti”, siamo costituiti della stessa essenza, della medesima “materia prima”: lo spirito. Venuto meno il collegamento con il corpo, il nostro spirito tende naturalmente a disinteressarsi di tutto ciò che lo preoccupava riguardo alle esigenze del corpo fisico: malattia, vecchiaia, bisogno di procurarsi il pane quotidiano e un tetto sulla testa sono pensieri che non riguardano lo spirito disincarnato. Quello che un tempo poteva essere il lavoro necessario per procurarsi da vivere si rivela per quello che è: missione, vocazione, hobby, creativa esplorazione, viaggio di istruzione e di piacere a un tempo.
Quando ci risvegliamo dall’illusione imposta dall’incarnazione sul piano fisico, ci ritroviamo istantaneamente nella nostra vera casa in spirito, che, come spiegato nel libro L’Aldilà è a portata di mano, ricomprende la famiglia e la casa create sul piano terreno, vera casa che riconosciamo istintivamente grazie al senso di appartenenza e magnetico amore incondizionato che vi troviamo.
A quel punto ci rendiamo conto che il piano fisico non è altro che un’emanazione più densa di un meraviglioso insieme.
Quindi, se da una parte la morte non separa, dall’altra non comporta e non permette invasioni della privacy, né in senso né nell’altro.
In considerazione di questo, al contrario del caso di chi ha una esperienza di premorte o NDE e ha avuto l’opportunità di scegliere di tornare all’esistenza fisica, coloro che compiono in modo definitivo il proprio trapasso non hanno bisogno di tornare nel corpo fisico per stare vicini ai propri cari; sanno infatti che siamo e saremo sempre assieme è che in un batter d’occhio i loro cari fisicamente vivi riacquisteranno anch’essi tale consapevolezza.
L’idea che fantasmi o spiriti inferiori possano infestarci o che, al contrario, se uno spirito disincarnato non compie un passaggio specifico che lo porti “nella luce”, rassegnandosi così a non più comunicare con i propri cari (vedi popolari serie TV come Ghost Whisperers) non sia in grado di progredire verso la propria meta, non sono che modalità con cui proiettiamo nelle nostre aspettative sul dopo-vita le medesime cognizioni di spazio-tempo, meriti e punizioni, su cui modelliamo la vita terrena.
Se da una parte è vero che forti emozioni represse, come dolore, risentimento, rabbia e frustrazione, da parte di persone fisicamente vive possono dar luogo a fenomeni psichici incontrollati come quelli denominati poltergeist, agli spiriti disincarnati non è consentito interagire con noi se non in modi delicati e non invasivi (si veda per esempio l’articolo: Come fanno i nostri cari a contattarci dall’Aldilà).
Gli invadenti fenomeni riportati in relazione a cosiddetti luoghi “infestati” si nutrono dell’energia psichica derivante dall’aspettativa dei viventi.
5. Lo spiritismo di matrice religiosa rischia di essere distorto dai dogmi che lo hanno generato
I fenomeni medianici generati da una corrente religiosa di matrice dogmatica risultano inevitabilmente inquinati dalla cultura e dal tempo in cui si verificano. I criteri che risultano più difficili da gestire dal medium ricevente sono i concetti di spazio e tempo, o meglio il carattere del tutto individuale e personale che spazio e tempo assumono oltre la vita fisica.
A maggior ragione, le trasposizioni cinematografiche, come nel caso del film Nosso Lar (2010), che è semplicemente ispirato a un libro dello spiritista brasiliano di matrice cristiana Chicho Xavier (1910- 2002), non possono che incrementare il divario fra ciò che viene comunicato al medium e ciò che viene propinato agli spettatori.
Nel libro omonimo scritto da Xavier nel 1944, su cui è basato il succitato film recentemente doppiato in italiano, si dà in pasto agli spettatori, in cambio di qualche briciola di verità, un Aldilà ingiusto governato dalle medesime leggi ingiuste che possono governare certe realtà della vita terrena. Il “Dio” prospettato in questa sorta di colonia brasiliana del dopo-vita è il Dio spietato dell’Antico Testamento, che pur venendo dichiarato “giusto” non sembra provare alcun amore per le creature, abbandonate inermi alla mercè di spiriti inferiori. Quello che maggiormente interessa, ai fini del contatto con i trapassati, è che il messaggio trasferito sia dal libro che dal film Nosso Lar è che la legge è legge e la legge non ammette ignoranza (per esempio, chi in vita non ha creduto all’esistenza di un dopo vita, deve pagare anche se non è colpa sua). Il libro sui cui si fonda il film presenta un’Aldilà in cui ci si fa beffe non solo della medianità e dell’amore che possa legare le persone, ma anche dello stesso spirito Cristiano.
Molto più affini alle esperienze di prima mano dei sopravvissuti a NDE (e alle mie esperienze pesonali) sono le risultanze della medianità Nord Europea e Nord Americana.
Il messaggio, cosciente o incosciente, dell’autore diNosso Lar tradisce l’intento dogmatico, mirato al terrorismo psicologico diretto a chiunque si azzardi ad affacciarsi su questa terra poco esplorata, che è il dopo-vita, senza la guida e l’interpretazione del manipolatore di turno.
Per chi mi ha chiesto un commento sul film e libro Nosso Lar, aggiungo qui un approfondimento.
Il mio unico scopo nello scrivere questo articolo è la tutela delle persone a lutto e del diritto di tenersi in contatto con i propri cari, se non direttamente tramite un medium professionista.
Gli inferni personali delle persone malvagie sono un dato di fatto acclarato e innegabile. Proponevo nell’articolo l’esempio estremo di un ex-ufficiale nazista che, pur di non cedere al ricatto dei propri superiori, che minacciavano la vita di moglie e figli, aveva attivamente collaborato allo sterminio di un altissimo e imprecisato numero di persone. Nell’articolo cito anche la fonte, che è una raccolta di esperienze definite “A letto di morte”.
La letteratura spiritualista raccoglie anche altri esempi di inferni personali vissuti da persone che, non solo hanno trattato sadicamente il prossimo a livello fisico, ma anche a livello morale. Faccio riferimento a tali casi proprio per spiegare come la durata e dimensione dell’esperienze post-vita di queste persone non avviene secondo il metro del “nostro” tempo lineare, sebbene ai reprobi non sia concesso comunicare durante tale fase con i propri cari, proprio a tutela degli spiriti ancora incarnati.
Il film Nosso Lar è la versione edulcorata di un libro che ho letto negli ultimi giorni e che tratta di una ipotetica colonia brasiliana del dopo-vita che proietta nell’Aldilà dei “penitenti”, dei “redenti” e anche della gente per bene molti dei limiti che si possono ritrovare nell’Aldiquà, quali i principi di penuria, conflitto e ingiustizia.
L’autore Xavier precisa prudentemente che tale colonia si distingue nettamente da altre colonie di estrazione ad esempio europea. Il fatto che mi pare renda tale tipo di letteratura un’offesa all’intelligenza riguarda vari aspetti, ma in questa sede mi limito a uno solo: la proiezione di questo non-amore e di questa linearità del tempo dall’Aldilà all’Aldiquà.
Il caso più inquietante è quello di una mamma per bene ma disperata cui viene negato di poter guidare i figli ancora in terra semplicemente perché non ha ancora maturato i “crediti” necessari che le deriverebbero da lavori per la sua sensibilità intollerabili.
Il protagonista, un medico che ha avuto il demerito di aver avuto una vita agiata durante gli studi e durante i 15 anni di professione, ha però il merito di aver curato gratuitamente 16.000 pazienti, sebbene lo abbia fatto con un certo senso di condiscendenza. Le raccomandazioni e intercessioni che glie ne derivano gli permettono di accorciare i tempi che lo dividono dal rivedere i propri cari. Dopo otto anni nell’Umbràl alla mercé di ogni bruttura e un solo anno di praticantato nella colonia, gli viene concessa una “licenza premio” di sette giorni per far visita alla propria famiglia in terra, secondo un regime che definirei carcerario.
Senza entrare nel merito di ciò che succede dopo, resta il fatto che, secondo questa visione, anche la figlia, che sente tanto la mancanza del padre, non può avere sue notizie per nove lunghi anni.
Se da una parte sia per molti versi comodo pensare che ciò sia possibile, poiché dà a chi soffre sollievo e pazienza e a medium poco preparati una scusa, questo fatto non vero può aggravare uno stato di lutto, ragion per cui lo considero inadatto ad un pubblico vulnerabile.
Ma è proprio vero che la persona cara non c’è più o non è più raggiungibile? Non è che magari siamo sintonizzati sul canale sbagliato, che la persona ci stia in realtà chiamando, parlando, mostrando delle cose… e noi non ce ne accorgiamo? Non è che magari la persona cara è proprio qui al nostro fianco e noi non ce ne rendiamo conto, pensandola in tutt’altro inaccessibile luogo?
In questo libro vedremo come ci si sente ad essere “disincarnati”, come ci si sente a tentare di comunicare con i nostri cari che piangono e non ci vedono, leggeremo qualche descrizione del meraviglioso mondo dell’eterna primavera, descritto da tanti spiriti disincarnati, dove i nostri cari pazientemente attendono che noi ci accorgiamo della loro presenza, proprio qui, in mezzo a noi, e di come essi stessi affermino che è molto più facile comunicare con una persona affettivamente cara (parente o amico) che non con un “tecnico delle comunicazioni”.
Scopriremo tre metodi collaudati, studiati per funzionare in momenti diversi, e a seconda delle situazioni e degli stati d’animo, con cui poter consapevolmente controllare e tenere traccia di un contatto che continua, incrollabile, a dispetto della dissoluzione del corpo fisico.
I tre metodi che esamineremo in questo libro saranno presentati in tre capitoli distinti. Essi sono:
Contatto da svegli in un quieto stato meditativo
Addormentamento consapevole
Il sogno e il sogno lucido
Cosa più importante, scopriremo che il metodo prescelto, o magari più di uno, sono alla nostra portata, che noi possiamo metterli in atto con estrema facilità, purché lo vogliamo e ci concentriamo, e siamo disponibili a disinvestire un po’ delle nostre energie fisiche e mentali dal gioco di ruoli che ci tiene quotidianamente imprigionati, per destinarlo all’immensamente più libero, arioso e prezioso rapporto affettivo sempre vivo che ci lega ai nostri cari, sia in questa vita che nell’altra.
L’Aldilà è a portata di mano: Tre metodi collaudati per mantenere personalmente i contatti con chi ci ha preceduti nel Dopo-Vita di Giulia Jeary Knap è disponibile su Amazon, SteetLib e Youcanprint. Per ulteriori informazioni: http://fracieloeterra.org/Aldilà
Un manuale su come mantenere personalmente i contatti con i propri cari nell’Aldilà potrebbe sembrare ardito, in un’epoca in cui l’attività di medium professionisti e certificati, che acquisiscono il proprio titolo dopo un opportuno corso di studi e di pratica, sta diventando sempre più popolare e sembrerebbe segnare una netta distinzione fra la persona “comune” che fa capo al professionista come intermediario e chi ha invece non solo ricevuto “il dono” ma ha anche studiato per affinarlo.
In realtà non è così. Noi non ci proponiamo di diventare professionisti della medianità, cosa che tra l’altro è tutt’altro che impossibile conseguire se si sente dentro di sé questa specifica passione e ci si applica a questa disciplina con pazienza e dedizione.
Il nostro intento è quello di rimanere in contatto con i “nostri” cari, usando gli strumenti che sono a disposizione di ogni singolo essere umano.
Come spesso sottolineerò in questo libro, noi tutti, i cosiddetti “vivi” e i cosiddetti “morti”, ma anche gli animali, le piante, le nostre case, il nostro pianeta, siamo fatti essenzialmente di spirito. Lo spirito è la nostra “materia prima” e grazie ad essa non siamo mai veramente separati gli uni dagli altri o dall’ambiente e dall’atmosfera in cui ci troviamo.
L’unico motivo per cui può risultarci laborioso sintonizzarci su questa dimensione dell’esistenza, sia fra persone fisicamente vive, sia con i trapassati, è il fatto che siamo abituati a investire buona parte delle nostre energie in un gioco di ruoli, che ci vede profondamente immersi, con la massima convinzione, in una determinata situazione di vita, che proprio grazie a questo convincimento supportato dalla cultura, dai rapporti interpersonali, dagli impegni quotidiani, dalle condizioni di salute, dai media, ecc., si replica, giorno dopo giorno, riproponendosi sempre uguale…
Fino a quando non succede qualcosa di apparentemente irreparabile. Una persona cara viene inghiottita in un misterioso buco nero, chiamato morte, e da un giorno all’altro non la vediamo più, non la sentiamo, non ci telefona, non ci parla, non ci scrive. I suoi oggetti personali sono lì, i vestiti sono sempre nell’armadio, la casa, i mobili, i soprammobili sono al loro posto, la macchina è in garage, il cellulare sul comodino, persino il profilo di Facebook (qualora se ne possedesse uno) continua a esistere …, ma quella persona cara da un giorno all’altro non c’è più.
Noi siamo di qua e loro sono di là, noi affaccendati e spesso schiacciati dalle incombenze quotidiane, e loro immersi nel riposo eterno, noi presi da mille e stressanti impegni, e loro assenti, chiusi in una tomba o nei nostri album fotografici…
L’Aldilà è a portata di mano: Tre metodi collaudati per mantenere personalmente i contatti con chi ci ha preceduti nel Dopo-Vita di Giulia Jeary Knap è disponibile su Amazon, SteetLib e Youcanprint. Per ulteriori informazioni: http://fracieloeterra.org/Aldilà
Ho sempre avuto una spiccata curiosità circa tutti i misteri della vita e quello che ci attende dopo la morte, ma fu solo intorno al 1988 che questa curiosità si tramutò in una sorta di emergenza, a causa della perdita di una persona cara, che mi era stata vicina fin dalla nascita. Per la prima volta, a ventisette anni, avevo l’urgenza di controllare di persona che mia nonna stesse bene e fosse al sicuro.
La mia prima scoperta fu che i sogni costituiscono una vera a propria porta che si affaccia su altre dimensioni della coscienza e anche sull’Aldilà, sebbene in quel periodo sembravo non avere il controllo sugli incubi o i sogni confusi di cui lo stato di lutto mi aveva fatto diventare una facile preda.
Ecco perché oggi vorrei parlare dell’importanza dei sogni lucidi e di come la meditazione possa costituire un veloce ponte per ottenere questo scopo.
Un sogno lucido è un sogno in cui siamo consapevoli di sognare. La meditazione, invece, è una pratica piuttosto semplice, per eseguire la quale spesso ci si mette seduti, in condizioni di quiete (in un luogo chiuso oppure all’aperto), con lo scopo di calmare la mente e dirigere la propria attenzione verso l’interno, per escludere sia il chiacchierio interiore che le distrazioni esterne.
A molti capita di avere contatti con i defunti in sogno. Tuttavia, in un sogno in cui si è consapevoli di sognare, diventa molto più facile programmare un incontro con un nostro caro nell’Aldilà, perché abbiamo almeno parzialmente il controllo dell’esperienza.
Il quesito è: perché i contatti con i defunti si verificano più facilmente durante i sogni, i sogni lucidi e la meditazione?
Come riferito dallo scrittore britannico Aldous Leonard Huxley (1894 – 1963) nel suo breve saggio “Le porte della percezione” (1954), secondo la teoria del filosofo francese Henri-Louis Bergson (1859 – 1941) sulla memoria e sulla percezione dei sensi, la funzione del cervello, del sistema nervoso e degli organi di senso sarebbe principalmente eliminativa e non produttiva (destinata cioè a eliminare informazioni, piuttosto che a produrne). «Chiunque è capace in ogni momento di ricordare tutto ciò che gli è accaduto e di percepire tutto ciò che accade dovunque nell’universo. La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa massa di conoscenza in gran parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior parte di ciò che altrimenti percepiremmo o ricorderemmo in ogni momento, e lasciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere utile in pratica. Secondo questa teoria, ciascuno di noi è potenzialmente l’Intelletto in Genere. Ma in quanto animali, è nostro compito sopravvivere a ogni costo. Per rendere possibile la sopravvivenza biologica, l’Intelletto in Genere deve essere filtrato attraverso la valvola riducente del cervello e del sistema nervoso. Ciò che viene fuori dall’altro capo è il misero rigagnolo della specie di coscienza che ci aiuterà a vivere sulla superficie di questo particolare pianeta…».
Quindi, lo stato ordinario di coscienza sarebbe un misero rigagnolo di nozioni, se raffrontato a quanto saremmo effettivamente in grado di sapere.
La teoria di Bergson è stata ripresa da alcuni studi, quali quelli condotti dal Dott. Stanislav Grof (Praga, 1 luglio 1931), psichiatra e ricercatore nel campo degli stati di coscienza non ordinari, che ribadisce che il cervello avrebbe la funzione di operare come una valvola a riduzione, che ci protegge dall’eccesso di informazioni provenienti dal cosmo in modo da poterci concentrare sulle attività della vita di tutti i giorni.
Con la morte, tale valvola a riduzione cesserebbe di esistere: di qui le testimonianze di tante persone che hanno avuto un’esperienza di premorte e che hanno avuto la sensazione di essere inondati da una conoscenza universale.
Esistono però altre circostanze, come appunto lo stato meditativo o il sogno, che ci permettono di allentare la stretta della nostra valvola a riduzione: in altre parole, quando ci troviamo in un quieto stato meditativo, quando sogniamo, quando stiamo per addormentarci o ci stiamo risvegliando, può capitarci di sapere delle cose, di saperle in modi nuovi, e ciò ci pare del tutto naturale sul momento…
Per poter allentare la valvola a riduzione, è molto importante staccare la spina rispetto alle responsabilità o alle preoccupazioni pratiche del nostro quotidiano, in particolare quelle che richiedono la nostra piena attenzione (come per esempio guidare, cucinare, o anche solo preoccuparsi di ciò che Tizio o Caio possano aver detto o pensato). Nel nostro caso, il nostro scopo non sarà quello di essere inondati da una conoscenza universale, ma semplicemente quello di sintonizzarci su un’altra stazione, passando da uno stato “ordinario” di coscienza a quello che gli studiosi spesso definiscono uno stato “modificato” o “non ordinario” di coscienza. Come un raggio laser, potremo usare questa opportunità per focalizzarci su uno scopo specifico, come per esempio incontrare un nostro caro nel mondo dello spirito.
Poiché la meditazione può consentirci di raggiungere questo scopo, e la meditazione eseguita subito prima di addormentarci può portare a un sogno lucido, ho scoperto che questa tecnica può dare risultati sorprendenti.
Come già indicato, la meditazione è una pratica piuttosto semplice, da svolgersi in un momento in cui siamo ragionevolmente certi che non saremo disturbati e finalizzata a calmare la mente e a favorire la concentrazione. Molti trovano più semplice fare questo esercizio ad occhi chiusi, in modo da ridurre le distrazioni e dirigere la propria attenzione verso l’interno. Se non vogliamo addormentarci, sarà utile fare l’esercizio in posizione seduta anziché sdraiata, e concentrarci su qualcosa di specifico, come per esempio:
seguire o contare i propri respiri (consiglio sempre, durante l’ispirazione e la successiva espirazione, di contare per un numero uguale di secondi, come per esempio 6 per l’inspirazione e 6 per l’espirazione);
concentrarci su quel brusio ininterrotto che è possibile sentire nelle orecchie quando tutto tace;
ripetizione di una parola o frase significativa;
visualizzazione di un luogo sereno.
Nel nostro caso, gli scopi della meditazione sono essenzialmente tre:
Rilassarsi;
Acquietare la mente e il dialogo interiore, scollegandoci temporaneamente dal mondo esterno;
Allentare la valvola a riduzione (funzione che il cervello svolge per consentirci di essere efficienti nei nostri compiti quotidiani) e aumentare in tal modo la consapevolezza interiore che può darci modo di incrementare le opportunità di avere un sogno lucido, fissando bene nella mente il nostro progetto.
Come suggerisce lo scrittore J. Alexander nei suoi libri sul sogno lucido, cominciare a meditare con sedute di due soli minuti è un ottimo sistema per acquisire questa nuova abitudine (o riprenderla dopo che la si è abbandonata), poiché due minuti sono un impegno tanto breve che non avremmo alcuna scusa per cercare di evitarlo. Inoltre, anche una persona che affronta un periodo di grave lutto e soffre di problemi di concentrazione non si sentirà scoraggiata da un esperimento così breve.
Una volta che avremo avuto modo di assaporare questa esperienza per qualche minuto e ci saremo resi conto dei suoi benefici, potremmo se ci fa piacere ritrovarci ad allungare spontaneamente le sedute.
Esistono tre momenti ideali per impiegare la meditazione al fine di programmare i nostri sogni ed arrivare poi a passare direttamente dallo stato di veglia al sogno lucido senza alcuna interruzione:
Immediatamente prima di andare a letto
Questo è un momento della giornata in cui (salvo nel caso di un pisolino pomeridiano) saremo probabilmente troppo stanchi per passare direttamente alla veglia al sogno lucido. Tuttavia, due minuti di meditazione (specie se sdraiati) ci aiuteranno ad addormentarci e ci daranno l’opportunità di mettere a punto il nostro progetto onirico, che realizzeremo più tardi.
Dopo 5 o 6 ore di sonno
Come ricordare i sogni
A questo punto, quando non è ancora ora di alzarsi ma la mente e il corpo sono già decisamente ristorati rispetto alla sera prima, le opportunità di usare la meditazione per innescare un sogno vivido o lucido sono decisamente più alte. Questo è il momento migliore per riprendere la nostra seduta di meditazione serale e usarla per osservare con distacco quelle fugaci impressioni visive, uditive o percettive che sperimentiamo di solito nello stato ipnagogico, ovvero nel periodo che precede immediatamente l’addormentamento. Questo periodo che viene chiamato anche “sonno crepuscolare” (dal termine “crepuscolo” che separa il giorno dalla notte) è quello che ci accompagna più o meno velocemente dallo stato di veglia a quello di sonno: in altre parole fa da ponte tra uno stato in cui siamo perlopiù consapevoli della realtà fisica e quello in cui il corpo dorme ed è scollegato dalla maggior parte degli stimoli del mondo fisico, dandoci pertanto vivido accesso alle dimensioni più sottili, che vengono definite anche “dimensione astrale” o “mondo dello spirito”.
Con la pratica, scopriremo di poter gradualmente allungare lo stato ipnagogico e di poterci in qualche modo aggrappare alla fase crepuscolare con mente vigile, in modo di accedere ad un sogno in cui siamo consapevoli di sognare senza una vera e propri interruzione della coscienza di veglia. Oppure, potrà capitare di addormentarci, ma di ritrovarci in un sogno molto vivido in cui è facile rendersi conto di stare sognando.
Al mattino quando non abbiamo impegni pressanti o urgenti
Nei fine settimana o nei giorni di festa, quando possiamo crogiolarci a letto un’ora in più senza la preoccupazione della sveglia, potremo sicuramente contare su un beneficio in più, dovuto anche al fatto che la nostra mente e il nostro corpo non saranno solo rilassati, ma sicuramente ancora più ristoranti di quanto potessero esserlo alle 4:00 del mattino. Questo è il momento ideale per fare pratica in libertà.
Naturalmente, tutti i suggerimenti mirati ad ottenere un sogno lucido si applicano ugualmente anche al viaggio astrale o OBE. Infatti, durante un sogno lucido la nostra mente è in uno stato di consapevolezza tale da poter volontariamente e attivante incrementare il nostro stato di vigilanza tramite comandi e/o strategie che possono condurre il sognatore in quello che viene chiamato stato di mente sveglia in corpo addormentato: in tale stato il corpo dorme ed è disconnesso dalla maggior parte degli stimoli del mondi fisico, ma lo stato di veglia sarà molto più acuito, tanto da poter sentire il respiro del corpo che dorme, toccarlo, percepire l’ambientazione astrale in cui ci troviamo e utilizzare un qualsiasi portale per raggiungere la persona che desideriamo incontrare.
L’unica differenza fra sogno lucido e OBE sta nel grado di vigilanza della mente: maggiore lo stato di veglia della mente, più solida e tangibile sarà l’esperienza e maggiore il ricordo al momento del risveglio del corpo.
Un’ultima raccomandazione: che si tratti di sogno, sogno lucido o OBE, è importantissimo prendere rapida nota dei ricordi che si hanno al momento del risveglio, e che potrebbero riemergere anche in un secondo momento, mentre cominciamo la nostra giornata.
Come abbiamo suggerito con l’esempio riportato nell’articolo dedicato a come ricordare i sogni, è come se i nostri cari trapassati vivessero nella stanza accanto, anche se questa non è altro che una metafora, dal momento che il mondo dello spirito esula dai nostri concetti di spazio tridimensionale e di tempo lineare.
Vivere liberi dai vincoli del tempo lineare significa che i nostri cari sono in primis desiderosi di farci sapere che sono vivi e stanno bene, ma non sentono questo bisogno in modo pressante, come potremmo viverlo noi se ci trovassimo all’estero o in qualche altro luogo sconosciuto, oppure come svariate persone che hanno avuto un’esperienza di premorte raccontano quando ricordano il disagio provato nel rendersi conto di stare più che bene, ma di essere diventati in qualche modo invisibili ai propri cari, che invece vedevano esclusivamente concentrati sul proprio corpo fisico privo di vita.
Nelle mie esperienze di OBE, o più semplicemente in sogno, ho più volte incontrato amici o parenti in inesistenti camere attigue a quella in cui mi trovavo io nel mondo fisico, o in inesistenti appartamenti situati di fronte al mio sullo stesso piano del medesimo condominio. Quindi la dimensione non fisica dell’esistenza può palesarsi sottoforma di camere o locali in più rispetto a quelli che vediamo e tocchiamo.
La metafora della “stanza accanto” viene usata anche dallo scrittore, editore e medium William Thomas Stead (1849–1912), perito nel naufragio del Titanic, il cui resoconto dell’Aldilà e del suo arrivo nel mondo dello spirito assieme a tutte le altre vittime della sciagura viene riportato nel libro L’isola blu (Edizioni Bis, 1 gennaio 2009) edito nella sua versione originaria nel 1922 dalla Hutchinson & Co. Dal resoconto di Stead si evince che la morte “non è che il passaggio da una stanza all’altra” e che “entrambe sono ugualmente ammobiliate e sistemate”.
In realtà il concetto di “stanza accanto” è una metafora di convenienza, in quanto facilita il compito che la nostra mente critica deve svolgere per capire come conviviamo con i nostri cari sul piano spirituale, piano di cui siamo tutti partecipi: incarnati e disincarnati.
Eppure, il Dott. Craig Hogan, che, con la propria opera Your Eternal Self (edito da Greater Reality Publications, 2008), presenta prove scientifiche di come la mente non sia circoscritta al cervello e circa l’effettiva esistenza dell’Aldilà, oltre ad offrire un programma di addestramento guidato online su come contattare i propri cari senza l’ausilio di un medium (http://www.selfguided.spiritualunderstanding.org/), nello spiegare le dinamiche del contatto post-mortem, esordisce proprio dicendo: «Ricevere comunicazioni dagli altri piani di esistenza non è come sentire qualcuno parlare dalla stanza accanto». Il Dott. Hogan spiega che, qui, sul piano terreno, udire una persona parlare dalla stanza accanto è un fatto ineluttabile, avviene e basta, anche contro la nostra volontà. Ascoltare invece le comunicazioni che ci arrivano dall’Aldilà significa predisporsi a recepire input subliminali, sottoforma di pensieri, impressioni, sensazioni e altre sottili forme di sapere che, da svegli, se non stiamo volontariamente cercando il contatto, ci arrivano per lo più a livello subconscio.
Ciò che è più interessante della spiegazione fornita dal Dott. Hogan è la metafora che usa per spiegare come avviene questo contatto, spiegazione molto efficace per farci comprendere quanto sia necessario predisporsi e sintonizzarsi su questo canale più sottile, ma prima ancora, esserne consapevoli. Il Dott. Hogan equipara il modo in cui i nostri cari comunicano con noi, o con il nostro Io Superiore, che è in ogni caso costantemente immerso nel mondo dello spirito, allo stesso modo in cui può capitarci di attrarre l’attenzione di una persona che si trova in coda davanti a noi, magari alla cassa del supermercato o al semaforo.
La natura del fenomeno legato al sentirsi osservati, è stata, come ci ricorda Hogan, investigato dal biologo Rupert Sheldrake, che ne parla nel libro La mente estesa (Urra Edizioni, 2006). Sarà capitato a tutti, in un momento del genere, se non si ha fretta e non si hanno impegni o preoccupazioni che tengano la nostra mente occupata, di notare che, se ci mettiamo a fissarne la nuca della persona in coda davanti a noi, se questa è ugualmente rilassata, molto probabilmente si girerà a guardarci senza neanche capirne il motivo. Se desideriamo testare questo metodo di proposito, possiamo addirittura immaginare di fare il solletico al soggetto che abbiamo selezionato per l’esperimento: se le circostanze sono quelle di cui abbiamo parlato, questo potrebbe non solo girarsi, ma anche toccarsi la nuca, come se il solletico fosse arrivato davvero.
Ecco un esempio brillante delle condizioni ottimali e delle modalità con cui i nostri cari dall’Aldilà hanno modo di mettersi in contatto con la nostra mente costantemente affaccendata nel corso della nostra vita quotidiana. Il contatto avviene da mente a mente, come del resto avviene anche fra persone fisicamente vive. Il vantaggio di chi comunica dall’Aldilà sta nel fatto di non condividere la miriade di preoccupazioni che ci attanagliano, mentre lo svantaggio sta nel fatto di potersi imbattere nell’incredulità, nella mancanza di aspettativa, in un lutto troppo profondo e soprattutto i pochi argomenti che le nostre piccole menti terrene sono in grado di apprezzare e condividere con chi è invece partecipe di ben altre e più profonde conoscenze.
Della complessità del sapere dei disincarnati sono testimoni le migliaia di persone che hanno vissuto, ricordato e tentato di raccontare un’esperienza di premorte o NDE: quasi sempe queste lamentano il fatto che le parole disponibili nei nostri vocabolari non sono in alcun modo sufficienti a veicolare ciò che hanno vissuto e provato. Pertanto, i messaggi che i nostri cari potranno con più probabilità riusciere a veicolare sono quelli che più spesso ci auguriamo di poter sentire: la conferma che sono vivi e stanno bene, un aiuto o un consiglio a vivere nel modo migliore la nostra vita, un senso di tutela e protezione nei momento difficili.
Da parte dei nostri cari nell’Aldilà, si richiede sicuramente un impegno preciso per veicolare il segno della propria presenza tramite, pensieri, idee, impressioni, sensazioni, immagini. Da parte nostra invece si richiede la comprensione di quanto sia importante avere la mente sgombra da preoccupazioni e disposta a recepire il contatto, anche in momenti inaspettati della giornata.
Immaginiamoci dunque la fatica di attirare l’attenzione di qualcuno che ci porge le spalle semplicemente fissandone la nuca e ricevere in cambio, per tutta risposta, solo il risultato di vedere quella persona girarsi senza sapere il perché, avendo magari provato la sensazione talora anche solo subconscia di essere osservato, ma senza capirne la natura e lo scopo. Poniamoci nei panni dei nostri cari. Poi riflettiamo su occasioni passate in cui effettivamente questo contatto possa essere avvenuto e noi averlo scartato assieme alla miriade di pensieri che ci affollano la mente durante il giorno.
Posso per esempio trovarmi al supermercato, per rimanere in tema, ed essere in dubbio sul se tentare una nuova ricetta, visto che in cucina mi considero una frana, e all’improvviso notare che la radio del supermercato sta mandando in onda una canzone che mi incoraggia a cucinare qualcosa di gustoso perché avrà un effetto speciale proprio come le delizie che preparava la nonna. Coincidenza?
Posso sentirmi un po’ giù perché mi manca tanto mio nonno che mi ha cresciuta ed era sempre così dolce e comprensivo con me, sentirmi sola e quasi disperata al pensiero che adesso nella vita tutto grava sulle mie spalle, e, nell’atto di parcheggiare la macchina vedere davanti a me una vettura con su scritto in eleganti caratteri corsivi “Giulietta”, che è proprio il nome con cui mi chiamava da bambina. Coincidenza?
Un contatto ancora più significativo è quello in cui mi viene tutto d’un tratto in mente un ricordo particolare, associato a una persona cara che fisicamente se n’è andata, qualcosa a cui magari non penso più da anni. Ecco che il contatto da mente a mente assume una connotazione ancora più precisa. Quella persona cara sta appunto riflettendo su quel ricordo e, concentrandosi su di me, è riuscita a veicolarmelo.
Ecco il filo sottile tramite il quale il contatto può arrivare. Ma bisogna esserne consapevoli e pronti ad afferrare quel filo. Proviamo a immaginare come possa essere frustrante per chi pensa a noi dall’Aldilà il fatto di credere che tutto ciò che pensiamo provenga dalla nostra mente, da nostri ragionamenti o dalle nostre fantasticherie.
Instaurare un dialogo è un qualcosa che potrà venire dopo, seguendo la tecnica che ci è più congeniale, ma all’inizio è essenziale capire (ed essere convinti) che la comunicazione avviene sempre, proprio come quando siamo in coda al semaforo e abbiamo troppa fretta di arrivare dove stiamo andando per badare al tizio che ci osserva da un’altra vettura.
Se riusciamo a convincerci che il contatto è possibile per tutti, e avviene in questo modo, potremo rispondere ad esso con gratitudine e ricambiare il pensiero. È proprio così che il contatto da svegli con i nostri cari avviene.
Se riusciamo a cogliere tali pensieri affettuosi mentre siamo affaccendati, proviamo a immaginare quanto più efficace sarà il contatto in un quieto stato meditativo.
Non siamo costretti a rinascere, almeno nel senso tradizionale attribuito a questo concetto.
Questo è il messaggio di fondo che l’autrice, dall’umile punto di vista che la stessa accomuna simpaticamente a quello di un pesce rosso in una boccia, desidera comunicare al lettore.
Come per il suo precedente libro, dedicato alla comunicazione con i cosiddetti “defunti”, anche in questo caso il testo è il risultato di un profondo lavoro introspettivo basato sull’esperienza personale di viaggiatrice astrale e studiosa della medianità.
Scopo dell’autrice è anche fondamentalmente quello di rassicurare chiunque abbia perso una persona cara che la morte non esiste, che non siamo robottini immessi nostro malgrado in un soverchiante e macchinoso sistema di vite, morti e rinascite al di fuori del nostro controllo, e che nella vita non perdiamo mai di vista i nostri cari, MAI, neanche nelle più buie situazioni esistenziali.
Al contrario, il testo presenta l’uomo quale eroico e potente spirito di luce che ha scelto di sottoporsi in via transitoria a una situazione apparentemente limitante per contribuire con coraggio e abnegazione al Grande Disegno spirituale che ci vede protagonisti.
Ancora una volta l’autrice cerca di dimostrare, con esempi tratti dalla vita di tutti i giorni, che il Mondo dello Spirito non è altro che il nostro mondo, che tutti abbiamo una missione di vita che abbiamo scelto al di là dello Spazio e del Tempo e che questa ci guida sempre, nella quotidianità, anche attraverso le persone e le circostanze che sembrano capitare nella nostra vita per caso.
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Per ulteriori informazioni sulle pubblicazioni a disposizione in italiano e in inglese: Pagina dell’autrice
Negli ultimi 25 anni mi è spesso capitato di sentire persone estremamete interessate ai viaggi astrali che lamentano il fatto di non riuscirci. Spesso mi sento dire che lo faccio sembrare così facile, quando racconto qualche aneddoto, mentre in realtà non è così. Ho quindi pensato di citare un in questo articolo le mie argomentazioni così come riportate nel libro per spiegare perchè ritengo molto più allettante e semplice imparare ad avere sogni lucidi (a rendersi, cioè, conto in un sogno di stare sognando) e perchè considero quest’ultimo il mio metodo preferito di contatto con i nostri cari nel mondo dello spirito.
“I cosiddetti viaggi o esperienze “fuori dal corpo” o OBE (dall’acronimo inglese “Out of the Body Experiences”, abbreviato anche in O.O.B.E.) si verificano quando, spontaneamente o volontariamente, la mente si sveglia mentre il corpo dorme.
Nel mio caso, il fenomeno si era presentato spontaneamente durante l’adolescenza, almeno quindici anni prima di poterne capire a fondo il significato. In pratica mi capitava che, se rimanevo sveglia a studiare fino a tardi, o se mi addormentavo esausta per un’oretta nel pomeriggio (in altre parole, se il mio corpo risultava particolarmente stanco, ma la mente lo era meno, oppure era sovraeccitata dallo studio quando il mio corpo era ormai esausto), mi svegliavo all’improvviso con la mente, incapace di controllare il corpo fisico.
La sensazione, che molti studenti e atleti conoscono, di svegliarsi con la mente in un corpo paralizzato, di non riuscire neanche a sollevare le palpebre, con un ronzio o una vibrazione forte nella testa, di cercare di gridare senza riuscire ad emettere neanche un sussurro, era tutt’altro che piacevole.
Solo in anni recenti ho scoperto che l’anomalia, denominata in questa sua prima fase “paralisi del sonno”, era dovuta al fatto che durante il sonno REM il tono dei muscoli scheletrici scompare completamente; questo fenomeno, detto atonia muscolare, si associa alla paralisi funzionale dei muscoli scheletrici. Durante il sogno non si è perciò in grado di muoversi; se così non fosse, ogni episodio di sonno REM si accompagnerebbe a un’intensa agitazione motoria, dettata dalla necessità di mimare le azioni compiute in sogno.
Chi dunque, a causa di questa disarmonia fra lo stato di stanchezza del corpo e lo stato di vigilanza della mente, si sveglia con la mente mentre il corpo dorme, può avere la spiacevole sensazione di essere prigioniero in un corpo paralizzato, il che si accompagna naturalmente a sentimenti di ansia, paura o terrore, sebbene l’esperienza sia in genere oggettivamente piuttosto breve.
Personalmente, una volta rassegnatami al verificarsi di questi episodi e aver escluso di avere qualche grave malattia, avevo inventato da ragazza un sistema per uscire da queste situazioni, risvegliando il corpo: immaginavo di compiere un atto che richiedeva un alto grado di concentrazione, come quello di dissociare il movimento delle mani facendo loro compiere gesti di tipo diverso (muovendone una in senso circolare e l’altra su e giù, tanto per fare un esempio), e questo bastava a risvegliare il corpo.
Gli episodi di paralisi notturna, con le loro spiacevoli vibrazioni e le mie tecniche di risveglio continuarono per molti anni. Ce ne vollero, infatti, una quindicina per scoprire che, quando la mente si sveglia nel corpo addormentato (in inglese, parlando di OBE, si usa proprio l’espressione “mind awake – body asleep”), la coscienza è libera di abbandonare il corpo e di spostarsi in uno stato di totale vigilanza su altri piani e in altre dimensioni. In particolare, chi ha familiarità con questo argomento, parla in genere di “piano astrale”, sul quale ci muoveremmo con questo secondo corpo, più sottile, chiamato appunto “corpo astrale”.
Secondo gli “addetti ai lavori” tutti e tutto avrebbero una propria dimensione o versione “astrale”, che ha una propria esistenza parzialmente indipendente dalla dimensione fisica, si modifica e si muove con molta più fluidità e facilità in risposta ai nostri pensieri e “funziona” talora autonomamente anche quando siamo svegli. Ad esempio, mi è capitato più di una volta, mentre ascoltavo qualche conferenza un po’ noiosa o ero io stessa leggermente assonnata (e dunque vicina allo stato di dormiveglia) di vedere gli spettatori accanto a me muoversi, girarsi, guardarsi intorno, rivolgersi al proprio vicino, mentre la loro controparte fisica era pressoché immobile ad ascoltare il relatore. Mi è anche capitato, in stato di dormiveglia, di vedere mio marito aggirarsi per la casa e fare come suo solito dei piccoli lavoretti, mentre la sua controparte fisica si trovava a più di cento chilometri di distanza.
Ebbene, questo è quello che io chiamo “corpo astrale”: un corpo non vincolato dalle leggi dello spazio e del tempo, libero di fare le cose che noi ci limitiamo a sognare ad occhi aperti e, durante le OBE, solido e tangibile quanto uno spirito disincarnato, tanto da poter toccare i nostri cari nell’Aldilà e parlarci senza problemi.
Infatti, in base all’esperienza da me maturata successivamente, quando il corpo fisico dorme e la mente è sveglia, quest’ultima può con il corpo astrale camminare o volare nella versione astrale della camera da letto e del resto della casa, volare nel circondario, raggiungere in un battibaleno luoghi lontanissimi e incontrare altre persone sveglie o anch’esse addormentate e girovaganti nei propri corpi astrali, fino a incontrare persone defunte e visitare i luoghi dove esse risiedono; a quanto ho visto, esistono anche luoghi intermedi di incontro, per queste riunioni con i trapassati, come esiste la possibilità di muoversi nel tempo e incontrare la versione futura o passata dei propri cari.
Nel mio caso, la vera e propria scoperta del nuovo mondo cui le paralisi notturne potevano portarmi avvenne per caso: avevo ventinove anni ed ero particolarmente stressata perché, essendo stata da poco promossa e trasferita presso la sede milanese dell’azienda per la quale lavoravo, vivevo in albergo da ben quattro mesi, senza riuscire a trovare un appartamento in affitto. Una notte, intorno a mezzanotte, stavo appunto cominciando ad assopirmi, quando mi si presentò la familiare sensazione di pesantezza delle membra e di ronzio nella testa. Questa volta però, invece di dibattermi in un corpo paralizzato, fui sbalordita nel constatare che le mani e le braccia “volavano via”, svincolate dalle braccia vere … Scioccata, d’istinto le tirai giù, risvegliandomi completamente.
Cos’era successo? Ero forse impazzita?
In realtà, scoprii quasi subito, ragionando sulle poche cose che avevo sentito fino a quel momento sui viaggi fuori dal corpo, che i miei arti fisici erano rimasti in quel frangente paralizzati come sempre; io stessa (o sarebbe forse meglio dire il mio corpo), ero momentaneamente scivolata nel sonno: a volar via erano state le “altre braccia”, quelle che vengono attribuite al corpo astrale, testimone la mia mente o coscienza (difficile operare un distinguo fra le due in momenti così concitati), che era rimasta invece vigile e lucida a registrare l’episodio.
Esercitandomi e facendo pratica nelle settimane e nei mesi che seguirono, scoprii che, quando la mente si svegliava mentre il corpo dormiva, questo non costituiva più una barriera: non era più solido, ma cedevole e poroso, fatto di un’energia che poteva essere tranquillamente attraversata. Non solo potevo uscire da quel corpo, ma potevo infilarci dentro le mani astrali, così come potevo attraversare il materasso o i muri, avvertendo talora come una sorta di tenue vibrazione o pizzicorino. Potevo galleggiare fin sotto il soffitto come un palloncino, o scendere giù a pochi centimetri dal pavimento, oppure potevo specchiarmi e vedere il mio corpo astrale.
Quella di specchiarmi divenne ben presto un’abitudine consolidata che mi sono portata dietro fino ad oggi. Poiché mi ripugnava l’idea di guardare il mio corpo addormentato nel letto, per quanto non avessi problemi a toccarlo e mi incantavo ad ascoltare il ritmico suono del suo respiro, trovavo che specchiarmi con il corpo astrale costituiva comunque un’impresa piuttosto audace, e negli anni ho scoperto che mi consentiva anche di avere un’idea più o meno precisa del mio stato d’animo a livello profondo, in modi molto più chiari di quanto il corpo fisico lasciasse trapelare.
Ad esempio, nei primi tempi delle mie sperimentazioni ero una persona piuttosto solitaria, in quanto vivevo a circa quaranta chilometri dal posto di lavoro e non avevo amici in città. Inoltre attraversavo un periodo di tristezza, a causa del recente trasloco dal Piemonte, e, nonostante le soddisfazioni sul lavoro, non ero tutto sommato quella che si può definire una persona felice.
Le prime volte che, durante i miei viaggi fuori dal corpo, mi specchiai per vedere che aspetto avesse il mio corpo astrale, fui sorpresa nel constatare che, mentre il mio volto fisico se ne andava in giro sapientemente truccato con capelli in ordine e orecchini diversi tutti i giorni, quello astrale appariva emaciato, con ecchimosi e cerotti, i capelli erano in disordine (una volta portavo addirittura i bigodini) e i vestiti erano sempre sciatti o rovinati. Fortunatamente ero anche dotata di un formidabile intuito, per cui non mi lasciai prendere dallo sconforto e attribuii immediatamente quelle immagini al mio io emozionale, triste e solitario.
Nel corso degli anni, mi sono specchiata numerosissime volte durante le mie OBE, e con la maternità e il formarsi della mia famiglia ho visto l’aspetto del mio corpo astrale diventare sempre più bello, giovane e gioioso.
Un’ultima divagazione sull’immagine che mi rimandano gli specchi astrali lo destino ad un periodo più recente, in cui, colpita da una brutta malattia e soggetta a mesi di terapie che mi avevano fatto temporaneamente perdere i capelli, mi sono vista in uno specchio collocato in un ambiente molto più ampio e luminoso della mia casa materiale, e con una stanza in più appositamente destinata al riposo e alla ripresa fisica. L’immagine che mi rimandava lo specchio era quello di una bella donna, almeno dieci anni più giovane e con capelli fluenti: l’unica stranezza erano gli occhi velati di una rossa patina di paura. In quell’occasione, capii quanto era cruciale, ai fini della guarigione, superare la paura e guardare al futuro con fiducia. Mesi dopo, dopo essermi sottoposta a una TAC di controllo che mi aveva finalmente tranquillizzato, ho avuto il piacere di specchiarmi ancora sul piano astrale, e di vedere il mio volto impreziosito da due enormi occhi verdi, liberi ormai dalla patina della paura.
A questo proposito, cito una curiosità: nel settembre 2010, due anni prima delle terapie che mi avrebbero fatto perdere i capelli, in un’OBE avevo chiesto di poter incontrare il Maestro Gesù, cui sono sempre stata affezionata specie per il suo amore per i bambini. Mi ero ritrovata in una pineta ricchissima di colori e di profumi, ma nel contempo (fatto straordinario) potevo rimirare il cielo stellato come se fosse notte. Gesù insegnava in una sorta di istituto, ma in quell’occasione uscì appositamente per incontrarmi. Aveva il suo “look” tradizionale, con barba e capelli lunghi, ma era vestito con moderni abiti casual: jeans e camicia con maniche risvoltate all’altezza dei polsini. Guardandomi negli occhi, mi trasmise un pensiero tratto dalle Scritture, ma straordinariamente rivelatore con il senno di poi: mi fece intendere che sapeva finanche quanti capelli avevo sulla testa!!!
Per tornare brevemente agli specchi, desidero solo sottolineare che, oltre a riflettere la mia immagine, e quella di eventuali entità vicine a me, questi si sono rivelati negli anni dei portali eccezionalmente efficaci per trasferirmi velocemente dal piano astrale in cui mi trovo al “luogo” in cui desidero andare, specie se si tratta di incontrare qualche persona in particolare, vivente o defunta che sia.
di Lewis Carrol è il libro che probabilmente mi ha maggiormente affascinato e influenzato da bambina circa l’uso degli specchi come portali verso altre dimensioni.
Facciamo ora un passo indietro, e torniamo alla notte in cui mi erano “volate via” le braccia, nell’autunno del 1990. Da quel momento in avanti cominciai a leggere tutto quello che potevo sull’argomento dei viaggi astrali. All’epoca non potevo contare su internet, e non era facile affrontare un tema del genere con la mia normale cerchia di conoscenze senza sembrare quantomeno “strana”. Il primo libro che mi assorbì completamente fu I miei viaggi fuori dal corpo di Robert Monroe. A questo ne seguirono numerosi altri. Leggevo e mi esercitavo. Essendo single potevo davvero sbizzarrirmi. Il sabato e la domenica, nel mio monolocale, staccavo telefono e citofono e mi davo all’esplorazione.
Tenendo un diario dei sogni e delle OBE, potei scoprire che un’esperienza in parte simile al viaggio astrale, molto comune, è quella in cui, durante un sogno, ci si rende conto di stare sognando e allora si riesce in modi più o meno diretti ed efficaci a controllare quello che avviene nel corso del sogno stesso. Si tratta dei cosiddetti “sogni lucidi”, in cui siamo ancora parzialmente immersi in uno stato di coscienza onirico, per cui anche cose strane o improbabili possono continuare ad apparire normali.
Anche se nell’ambito del sogno lucido esistono vari gradi di lucidità, che possono essere volontariamente accentuati fino ad arrivare all’OBE, nell’OBE propriamente detta la mente è comunque pienamente sveglia, anche se le nostre priorità possono variare leggermente da quelle dello stato di veglia a causa delle prospettive più ampie che abbiamo. Grazie a questa dicotomia, si ha la chiara cognizione di muoversi con un corpo simile a quello fisico, ma diverso, non soggetto alle leggi del mondo fisico, nella dimensione di cui abbiamo appena parlato.
Queste esperienze, spontanee o volute, sono andate avanti per ventisei anni, regalandomi episodi unici e commoventi. Con il tempo, l’esperienza, le letture e le riflessioni sull’argomento, mi sono resa conto che i “luoghi” che i miei viaggi astrali mi consentivano di visitare non erano tanto “fuori” dal corpo fisico, come il nome di questo fenomeno suggerisce, ma piuttosto dimensioni interiori della coscienza e dello spirito, sebbene questo rimanga un tema aperto, dal momento che i concetti di “dentro” e “fuori” non hanno la stessa importanza che gli attribuiamo al di là del piano strettamente fisico
In altre parole, se durante la veglia, nel nostro stato di coscienza ordinario, qui sul piano fisico, tutto quello che vediamo e tocchiamo ha una parte interna e una parte esterna, al di là di questa nostra dimensione, i concetti di “dentro” e “fuori” cessano di avere importanza, per cui anche disquisire su se il piano astrale si trovi “fuori” dal piano fisico, come una sorta di guscio energetico che lo circonda, oppure “dentro” di esso, come una sorta di parte estrema del nucleo spirituale che costituisce la nostra essenza, diventa pura teoria, e forse non ha alcuna importanza.
William Buhlman, uno dei massimi esperti americani nel campo delle OBE, è uno studioso che ha voluto appunto porre l’accento sull’idea che la proiezione astrale sia in realtà un viaggio interiore. Da parte mia, posso dire che questa particolare chiave di lettura mi ha liberato da molte paure, prima fra tutte quella di poter rimanere “chiusa fuori” dal corpo, o di vedere definitivamente troncata la cosiddetta corda d’argento che legherebbe il nostro corpo astrale a quello fisico mentre se ne va in giro fuori dal corpo.
Ma indipendentemente da queste speculazioni, resta il fatto che, se è vero che negli anni delle prime sperimentazioni mi sono concentrata sull’esplorazione del piano più vicino a quello fisico, non è passato molto tempo prima che il desiderio di visitare i miei cari nell’Aldilà prendesse il sopravvento.
(…) desidero sottolineare un’ultima volta quanto il viaggio astrale non costituisca altro, a mio parere, che uno stato di maggior lucidità rispetto al sogno lucido, ovvero il sogno in cui si è consapevoli di sognare. Desidero anche puntualizzare, ancora una volta, che il sogno lucido, se lo si desidera, può costituire un trampolino di lancio per il viaggio astrale, in quanto, quando si è consapevoli di sognare e si ha a disposizione una buona fetta di consapevolezza circa quello che sta succedendo, si può anche fare la scelta precisa di amplificare il proprio grado di lucidità, passando ad un’OBE vera e propria.
Anche se a questo punto potrebbe sembrare superfluo, colgo l’occasione per sottolineare il mio totale dissenso con studiosi, praticanti e insegnanti del sogno lucido quali Charlie Morley, che considerano il 99% dei soggetti incontrati in un sogno lucido come personaggi onirici (o P.O.), ovvero semplici prodotti della mente del sognatore. Sebbene condivida con tali ricercatori il concetto più ampio che questa vita sia in realtà simile a un sogno dal quale con la morte ci risveglieremo nella nostra più grande realtà di appartenenza, non trovo questo un motivo valido per negare l’assoluta autenticità ed individualità degli spiriti incarnati o disincarnati con cui possiamo relazionarci sia nello stato di veglia che in altri stati modificati di coscienza, come il sogno e le OBE.”
[Brano tratto da ]
Il motivo per cui in genere non incoraggio le persone a imparare ad avere esperienze di OBE è perhè, in tali esperienze la mente e pienamente vigile, per cui tutti i filtri logici, critici e razionali con i quali discriminiamo la realtà nella vita di tutti i giorni possono intralciare la comprensione di ciò che ci sta accadendo. Al contrario, nel sogno lucido, la mente che ci accompagna nella vita di veglia è parzialmente “sedata” e in grado di cogliere intuizioni e idee di cui potrebbe sfuggirci il senso quando siamo svegli.
Il motivo per cui faccio spesso riferimento alle più tangibili esperienze di OBE quando parlo delle varie tecniche per contattare i nostri cari nell’Aldilà è semplicemente quello di fornire prove pratiche a supporto della veriticità delle esperienze che sono invece pienamente accessibili a tutti tramite sogni, sogni lucidi e in un quieto stato meditativo.
Ci ho messo un po’ a trovare un’immagine che mettesse in rilievo a colpo d’occhio il concetto di fondo che desideravo trasmettere con questo articolo.
Chi mi segue su Twitter, Facebook, Instagram o Pinterest sa che condivido con il pubblico prevalentemente immagini: immagini significative associate a un breve pensiero. Questo perché le immagini hanno un enorme potenziale.
Indipendentemente dal fatto che io possa sentirmi più o meno brava a visualizzare immagini o a usufruire della cosiddetta “memoria fotografica”, secondo specialisti nel settore della comunicazione, della motivazione e del self-help, come Alberto Lori «il nostro cervello lavora per l’87% con immagini». In questo breve video, che vi consiglio caldamente quanto meno di ascoltare, Lori presenta dei semplicissimi esempi, finalizzati anche a spiegare perché, per essere efficaci nella comunicazione e nel dialogo interiore, sia importante evitare frasi o affermazioni al negativo.
Lori presenta due simpatici casi. Se io vi invitassi per esempio a “non pensare alla Torre di Pisa”, qual è la prima immagine che vi si presenta (vivida, a tre dimensioni, olografica, tutta a colori, oppure fugace, indistinta, appena appena percepibile, o in bianco e nero che sia)? La Torre di Pisa: è ovvio! Ancora, continua Lori, se vi invitassi a non immaginare un elefante nella vasca da bagno, cosa catturerà immediatamente la vostra attenzione? Un elefante nella vasca da bagno, naturalmente!
Chiedo adesso alle amiche e agli amici che lamentano difficoltà nel visualizzare le immagini: «Dopo aver letto quest’ultimo passaggio, come vi è apparsa (vostro malgrado, aggiungerei) la Torre di Pisa? Come in cartolina, come un pensiero, un ricordo, un disegno, un’idea, altro?»
Stabilire come visualizziamo le idee/immagini mentali è di cruciale importanza per chi voglia usare consapevolmente questo strumento creativo di cui tutti, ma proprio tutti siamo dotati.
È anche possibile che la Torre di Pisa ci si presenti sottoforma di simbolo, magari veicolato da ricordi scolastici, se non viviamo dalle parti di Pisa, magari tramite la descrizione fattane in un libro, in un film o addirittura tramite le note di una canzoncina per bambini.
Per riassumere, non è importante come le informazioni ci vengano veicolate e non esiste un canale informativo superiore a un altro: l’importante è conoscere la nostra o le nostre modalità preferenziali di trasmissione ed elaborazione di immagini, idee, sensazioni e informazioni per poterne fare un uso ottimale e consapevole.
Prima ancora di questo, è importante usare questa consapevolezza per imparare a conoscere, osservare ed eventualmente modificare il nostro costante dialogo interiore che, tramite un chiacchierio continuo, immagini, sensazioni arricchite da ricordi, sentimenti, desideri, fantasie… alimenta la realtà che quotidianamente creiamo in noi e attorno a noi, con o senza la consapevolezza di farlo.
Ecco perché, sebbene io mi consideri una frana quando si tratta di ricordare strade e itinerari a causa della mia convinzione di non avere memoria visiva, e sebbene tanti lettori si siano con me lamentati di non riuscire a visualizzare immagini mentali o di mancare di immaginazione, i banali esempi qui riportati costituiscono un valido test per stabilire che: 1) le immagini mentali si insinuano con forza e anche nostro malgrado nelle nostre vite, giocando in esse un ruolo fondamentale, indipendentemente dal modo in cui ci si presentano e dal fatto che ne siamo o meno consapevoli, e 2) hanno un potere enorme nel colorare in positivo o in negativo il nostro dialogo interiore e di conseguenza il nostro potenziale creativo.
È ovvio che questa consapevolezza abbia una portata enorme, indipendentemente dal motivo per il quale la coltiviamo. Essa si applica a tutti i campi e a tutti i settori e interessa ogni aspetto delle nostre vite. Tuttavia oggi ci limiteremo a parlare nello specifico di come questa consapevolezza possa sbloccare quella porta virtuale che vediamo nell’immagine di copertina per consentirci un contatto quotidiano con i nostri cari nell’Aldilà.
Mi si consenta però una parentesi. Molti credono che i medium professionisti percepiscano le cose che ci raccontano come un vivido film a colori se non a tre dimensioni, o addirittura come una realtà oggettiva frammista a quella che ci circonda normalmente. È ben vero che ho visto qualche medium bravo e professionale ricorrere ogni tanto a trucchetti che lasciano immaginare che le cose stiano proprio così, come nei film su Melinda Gordon. Ma lasciatemi precisare che la medianità cosiddetta “oggettiva” è un caso raro e che, nella maggioranza dei casi, i medium percepiscono l’Aldilà esattamente come lo facciamo noi. Se io vi chiedessi in questo momento: «Pensa a tua mamma» oppure «Pensa alla tua parrucchiera», «Pensa al vicino di casa», voi come ve le figurate queste persone? La vostra risposta è importante, e rivolgo in particolare queste domande a chi mi dice di non avere immaginazione o di non riuscire a visualizzare nulla.
Il modo in cui penserete a vostra mamma, alla vostra parrucchiera, al vostro vicino di casa e via discorrendo è esattamente il modo in cui percepirete i vostri cari nell’Aldilà.
Per tornare all’immagine di copertina, noteremo, osservandola, che la porta in realtà non costituisce alcun ostacolo. Essa appare per quello che in effetti è: il simbolo di una separazione impostaci dalla cultura comune e condivisa, inculcataci fin da piccoli e in modo martellante tutti i giorni, collocata in un punto qualsiasi di un ambiente che è in realtà privo di separazioni, porte, scale, ponti, guadi, fiumi o cancelli. La porta si colloca invariabilmente davanti a noi, come a suggerire che viviamo in un mondo buio e separato dalla paradisiaca dimensione in cui i nostri cari trapassati dimorano felicemente. In altre parole, la porta è una nostra appendice culturale, che si concentra su ciò che la valvola a riduzione del nostro cervello percepisce normalmente quando prevalgono le onde beta dello stato di veglia, liquidando come fantasie e sogni ad occhi aperti tutte le informazioni cui abbiamo accesso per esempio in meditazione, quando domineranno le onde alfa se non le onde theta.
Per fornire degli esempi del condizionamento martellante e continuo con cui questa separazione viene rinsaldata in noi ogni giorno, basti pensare alla diffusa tendenza ad ignorare la morte nel vivere e conversare quotidiano. La morte è un argomento imbarazzante: mostrare la nostra vicinanza a una persona a lutto si riduce spesso a poche parole di circostanza; le persone anziane che non hanno parenti che si occupino di loro o un esponente della loro religione non sono accompagnate nel loro cammino spirituale verso il trapasso perché è difficile trovare personale ospedaliero o impiegato nelle case di riposo disposto e preparato ad affrontare temi spinosi come la fine della vita che chiamiamo “fisica”! Questo semplicemente perché si preferisce non pensarci.
Secondo i nostri Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, chi perde un figlio, un coniuge, un genitore, un fratello… ha diritto a tre (dico 3) soli giorni di “permesso retribuito per lutto”, come se dopo tre giorni si possa umanamente immaginare di poter riprendere a lavorare come prima.
Certo! Il dolore lancinante per la perdita di una persona cara non risparmia nessuno: neanche chi passeggia liberamente tra i due mondi, come me che viaggio in astrale o un medium che conversa abilmente coi defunti per conto terzi. Il distacco fisico da una persona cara è un trauma indescrivibile, che merita ogni attenzione, premura e sostegno morale. È come un terremoto personale che scuote dal profondo la nostra esistenza e richiede molto spesso tantissima pazienza con se stessi, perché ognuno affronta questi momenti in modo unico e diverso caso per caso. Non esistono regole per vivere la sofferenza ed è giusto che sia così: siamo tutti persone uniche e quando cesseremo di essere fisicamente presenti lasceremo tutti un vuoto unico, a seconda di chi ci conosce.
Per riassumere, indipendentemente da quelle che possono essere le nostre convinzioni ed esperienze, lo strappo fisico che segue alla morte è comunque un trauma violentissimo, per cui non è detto che le mie parole in un momento di forte dolore possano risultare di alcun interesse.
Anche il medium più ferrato ha difficoltà a beneficiare del proprio talento quando la crisi riguarda proprio lui/lei. Nonostante tutte le prove ed esperienze di prima mano, il pensiero della propria morte o di quella di una persona cara resta avvolta in una nube di mistero e sofferenza. Prendiamo William Thomas Stead (1849–1912), scrittore ed editore inglese, noto ricercatore nel campo dei fenomeni psichici e medium lui stesso, perito tragicamente in occasione del naufragio del Titanic. Nonostante le numerose e documentate premonizioni avute sul disastro in mare, l’unica visione che Stead ebbe in vita della propria morte fu quella di morire calpestato dalla folla. Considerando quanto Stead si sia battuto contro i protocolli assurdi e mortificanti imposti dall’entourage scientifico e dai suoi stessi colleghi ricercatori per ottenere prove della continuità della vita dopo la morte (si veda questo articolo), e considerando quanto questi test ridicoli e umilianti per medium e defunti comunicanti ad opera di sedicenti scienziati e ricercatori continuino tutt’oggi, nel XXI secolo, trattando i medium alla stregua di topi di laboratorio e i defunti quale “fenomeno anomalo” la cui esistenza va dimostrata, a mio parere la visione di Stead, morto calpestato dalla folla, potrebbe simboleggiare proprio questo massacro della spiritualità ad opera degli scientisti che, obbligando i nostri cari, che vivono felici al di là dello spazio e del tempo, a trasmettere solo un rigagnolo di informazioni tramite i loro infelici test “scientifici”, vengono alla fine calpestati in nome dell’oggettività e razionalità della scienza.
Chiusa la parentesi sul lutto e il modo in cui esso inevitabilmente annebbia più o meno aspramente la nostra capacità di vedere oltre la porta di cui dicevamo, questo articolo è stato scritto per chi non è infastidito dall’argomento e ha potuto maturare, grazie agli incontri che (anche se non ce ne ricordiamo) durante il sonno continuano sempre con i nostri cari, una certa qual serenità, che, seppur vaga, ha una sua ragion d’essere: la mia teoria, provata dall’esperienza personale e da quella delle persone che conosco, è che tutte le notti, quando i nostri sensi fisici sono per lo più disattivati, ci ritroviamo con i nostri cari nella nostra Casa più Grande, una casa che ha molte più stanze e molti più ambienti, collocata in un luogo paradisiaco, dove i nostri cari risiedono guariti e ringiovaniti, pronti a tranquillizzarci sulla propria sorte e sul proprio benessere. Anche se non li ricordiamo al mattino, questi incontri hanno il potere di tranquillizzarci e l’effetto rasserenante non riguarda solo chi crede in un dopo-vita, ma anche chi non ci crede. Il tempo, dunque, non cancella proprio nulla. Non si tratta di un “rassegnarsi” alla perdita, o peggio di un “dimenticare” la persona cara: al contrario, con il passare del tempo, ci sentiamo più sereni proprio grazie a questi costanti incontri, che ci confermano e riconfermano il perdurare imperterrito e anzi accresciuto dei nostri legami affettivi con chi fisicamente non vediamo attorno a noi.
A proposito della nostra Grande Casa Celeste, sono diverse le persone mi hanno raccontato di scoprire, in sogni particolarmente significativi, nuove stanze nella propria casa, oppure di ritrovarsi in una casa a loro conosciuta solo in sogno, in cui ci sono molti più ambienti che nella realtà. Proprio ieri, il mio amico Dott. Claudio Pisani mi raccontava che in questi casi gli capita di abbattere in sogno una parete e di scoprirvi dietro una nuova camera. Il collega ricercatore David Pierce racconta anche lui sogni particolari in cui scopre nuove stanze e passaggi segreti in casa sua. Se vi dovesse capitare di fare un sogno del genere è probabile che si accompagni ad una sensazione di ricongiungimento e appartenenza. Vi consiglio in questo caso di prenderne nota nel vostro diario.
A costo di ripetermi, dunque, quando si parla di contatto con l’Aldilà, anche i più intraprendenti e fiduciosi (me compresa) sentono il peso dei restrittivi preconcetti di cui abbiamo parlato, cui siamo particolarmente vulnerabili non solo se abbiamo recentemente perso una persona cara, ma anche se siamo semplicemente stanchi. La stanchezza e lo stress accumulati in una giornata possono a tutti gli effetti intossicare il nostro animo, e quindi renderci meno disponibili a uscire consapevolmente dalla gabbia di preconcetti in cui siamo costretti a vivere nel quotidiano. Questa sorta di prigione invisibile impostaci da chi più ne trae beneficio, considera il mondo materiale separato, inferiore, regolato da grossolane leggi secondo cui la morte rappresenta una cesura definitiva, oltre la quale per un motivo o per l’altro è insano o immorale affacciarsi. Secondo tali preconcetti, solo alcune persone particolarmente fortunate posseggono il dono di comunicare con i defunti, di sintonizzarsi con l’altra dimensione.
In effetti, un medium professionista non toccato dal lutto che affligge chi ha appena subito una perdita, è nelle condizioni ideali per fare in questi casi da tramite.
Ma anche nella scelta di un professionista occorre cautela. Per tornare alla cultura dominante sulla vita e sul dopo-morte, grazie a questo diffuso pregiudizio, abbondano sull’argomento ogni sorta di illazioni che spaziano dall’invito a “non disturbare” i defunti a vere e proprie superstizioni in cui sguazzano scettici, scentisti, falsi medium e venditori di fumo. Questi ultimi sono particolarmente pericolosi quando imbastiscono le loro tele commerciali e vuote di contenuti, mirate ad offrirci a caro prezzo il segreto o i segreti che ci daranno finalmente la felicità, segreti da custodire gelosamente proprio perché destinati a pochi eletti. Non mi riferisco naturalmente a studiosi che hanno riportato questo argomento alla luce, come i coniugi Hicks, ma a millantatori senza scrupoli che con le proprie campagne pubblicitarie inondano di pop-up il cyberspazio.
Ebbene sì: come già anticipato, il tema di fondo di questo articolo non riguarda solo i contatti con l’Aldilà, ma la vita in generale. Quella che oggi viene “venduta” come Legge di Attrazione è una serie di principi basilari di cui l’umanità è sempre stata a conoscenza. Ma su questo tema più ampio mi diffonderò in un’apposita pubblicazione.
Per il momento dedico questo articolo in particolare alle persone che, dopo aver letto le mie pubblicazioni, mi scrivono o mi telefono lamentando il problema di essere troppo razionali, di non avere immaginazione, non riuscire a visualizzare nulla, di essere “fatte così”.
Nel suo libro The Three “Only” Things (New World Library, 2010), Robert Moss, grande studioso australiano del “sogno consapevole” e del “sogno attivo”, nell’illustrare l’enorme potere (spesso completamente ignorato) di sogni, coincidenze ed immaginazione, dice «Tutti viviamo di immagini: esse ci accendono e ci spengono, sia che usiamo la nostra immaginazione sia che ci limitiamo ad essere passivi ricevitori della programmazione altrui». Circa il potere creativo del pensiero, afferma che «Creare significa portare nel mondo qualcosa di nuovo» e che «Oltre ad essere uno stato di coscienza creativo, il regno delle immagini è un mondo reale. È la regione della mente dove il significato prende forma e dove gli oggetti acquisiscono significato». Quando liquidiamo i frutti dell’immaginazione come pura fantasia se raffrontati alla realtà oggettiva e condivisa, esiliamo, secondo Moss, quella parte di noi che sa cose che hanno un’importanza straordinaria e che ha il potere di rivedere e ricreare il nostro mondo. «L’immaginazione» continua Moss «è la facoltà che la nostra mente e la nostra anima hanno di pensare e agire tramite immagini (…) immagini che prendono energia in prestito da ricordi ed esperienze sensoriali, non per produrne delle semplici copie, ma per rimodellare e trasformare tale “materia prima” in qualcosa di nuovo, che può acquisire ulteriore energia da fonti più profonde». Per fornire un esempio di quest’ultima affermazione, Moss ricorda il caso della piccola Sally, una bambina che soffriva di frequenti incubi notturni. Le aveva regalato un soldatino giocattolo che aveva conservato dall’infanzia, un centurione romano, con la promessa che questo l’avrebbe protetta dai suoi incubi. Incontrando Sally casualmente tre anni dopo, all’età di dieci anni circa, la bimba aveva subito esordito entusiasta: «Lex è proprio grande!» Moss non ricordava più l’episodio, e la bimba, scandalizzata da questa dimenticanza, gli riferiva che il centurione, in caso di necessità, si presentava alto più di due metri e sgominava tutti gli incubi stroncandoli sul nascere. Questo è uno di quei casi che Moss presenta a dimostrazione del fatto che la “materia prima” di cui si serve la nostra immaginazione può acquisire nuova energia da fonti più profonde di quelle a noi note nel quotidiano.
Come scrivo nel libro l’Aldilà è a portata di mano, nel capitolo dedicato al contatto in quieto stato meditativo:
«Una delle cose più importanti che ho appreso negli anni circa la modalità con cui si verificano i contatti cosiddetti medianici in un quieto stato meditativo è il fatto che l’IMMAGINAZIONE è lo strumento più pratico e utile fra quelli a nostra disposizione per raggiungere lo scopo ed è anche il principale strumento che i nostri cari hanno a portata di mano nell’Aldilà per comunicare con noi.
L’immaginazione è una cosa con cui abbiamo familiarità, perché la usiamo tutti i giorni, e ha l’effetto di aprire la nostra mente alla percezione di dimensioni non-fisiche, consentendo anche un’effettiva comunicazione con i trapassati.
Inoltre l’immaginazione ha un forte potere creativo, sia sul piano fisico che su quello spirituale: per cui, immaginando un qualsiasi scenario in cui collocare il nostro incontro con i nostri cari nel Mondo dello Spirito, partecipiamo attivamente alla vera e propria creazione di quell’ambiente e i nostri cari, richiamati dal nostro pensiero, accorreranno istantaneamente ad incontrarci là dove li stiamo aspettando.
Vari autori parlano del ruolo chiave dell’immaginazione per contattare i nostri cari; fra questi cito Sanaya Roman, Robert Moss e Bruce Moen, il quale si sofferma in modo particolare sull’importanza di “fare finta che…” una certa cosa stia succedendo per accedere al Mondo dello Spirito».
Come fare dunque, sapendo tutto questo, a sbloccare l’immaginazione, nostro patrimonio condiviso e sacrosanto diritto di nascita, laddove sentiamo di non averne o di essere troppo razionali e privi di creatività?
In primo luogo prendendo atto che l’immaginazione di cui tutti da bambini siamo padroni indiscussi NON PUÒ esserci rubata, così come le magiche opere di creazione cui essa ci dà accesso. Basta semplicemente esserne consapevoli.
Se i nostri genitori, insegnanti, amici, colleghi, capi hanno continuato negli anni ad esaltare l’aspetto logico e razionale della vita, convincendoci dell’inutilità di quel 10 in disegno, o della nostra bravura nel cantare o nel suonare uno strumento rispetto a un 7 in matematica o in italiano, rendiamoci conto che la convinzione che ne deriva non ha più efficacia di una spolverata di zucchero a velo su un pandoro o di una glassa di cioccolata sul cuore di panna del nostro gelato preferito.
Per esempio, IO SO che questo mondo fisico è solo un riflesso di un mondo più vivo, intenso, magico e bello, grazie al fatto che lo vedo e lo tocco con mano mentre il mio corpo dorme e la mia mente è sveglia. Ma viaggiare in astrale non è necessario: mi ha semplicemente permesso di accorgermi che anche da sveglia, se sono annoiata o assonnata, oppure volontariamente in meditazione, percepisco la dimensione non fisica, magari con la coda dell’occhio, magari grazie a un flash mentale, un pensiero improvviso, un’idea, una sensazione, un motivetto.
Rivisitiamo con questa consapevolezza l’articolo .
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L’autrice di questo podcast/articolo non dispensa consigli medici né prescrive l’uso di alcuna tecnica illustrata in questo podcast/articolo quale terapia per problemi di salute. L’intento dell’autrice è semplicemente quello di aiutare l’ascoltatore/il lettore nella propria ricerca del benessere fisico, emotivo e spirituale. Per esigenze di natura medica, si invita il lettore a consultare un professionista.
Il sottotitolo di questo libro è “Viaggio dal cancro, alla premorte, alla guarigione“.
“Ho avuto la possibilità di tornare indietro… oppure di restare dov’ero. Ho scelto di ritornare quando ho capito che il ‘paradiso’ è uno stato mentale, non un luogo da raggiungere.”
– Anita Moorjani
“Prima dell’esperienza di premorte, probabilmente per via della mia cultura, pensavo che lo scopo della vita fosse raggiungere il nirvana, ovvero evolversi oltre il ciclo di nascita e morte della reincarnazione e non fare più ritorno alla dimensione terrena. Se fossi cresciuta immersa totalmente nella cultura occidentale, probabilmente il mio scopo sarebbe stato di andare in paradiso. A prescindere dalla cultura di riferimento, questo è un obiettivo piuttosto comune: vivere in modo tale da assicurarsi una vita perfetta nell’Aldilà. Ma dopo la mia esperienza di premorte, ho sentito che le cose stanno diversamente. Anche se so che continuerò a vivere anche oltre questo piano della realtà, e sebbene non abbia più paura della morte fisica, ho perso il desiderio di essere altrove tranne che nel posto in cui mi trovo ora. È interessante notare che sono più radicata nel presente e sono maggiormente focalizzata sulla perfezione della vita insita in ogni istante, invece che concentrata sull’altra dimensione. Ciò è fondamentale, perché il concetto della reincarnazione nella sua forma convenzionale, come vite progressive che si svolgono in modo sequenziale una dopo l’altra, non trova conferma nella mia esperienza di premorte. Mi sono resa conto che il tempo non si muove in modo lineare, a meno che, per percepirlo, non usiamo il filtro del corpo fisico e della mente. Una volta che non siamo più limitati dai sensi terreni, ci accorgiamo che ogni istante esiste contemporaneamente. Sono giunta a pensare che il concetto della reincarnazione non sia altro che una interpretazione, un tentativo di spiegare in modo razionale la simultaneità dell’esistenza. Pensiamo in termini di “tempo che passa”, ma nella mia esperienza di premorte, sembrava che il tempo esistesse in quanto tale e che fossimo noi a spostarci attraverso di esso. Ciò significa che non solo tutti gli istanti temporali esistono simultaneamente, ma anche che nell’altra dimensione possiamo andare più veloci, più lenti o persino a ritroso e lateralmente”.
Ecco un libro che consiglio caldamente a chi è affascinato dalle esperienze di pre-morte e nel contempo ha dubbi o timori circa il concetto di re-incarnazione, quale ineluttabile sequenza di vite con le quali pagheremmo il nostro debito karmico. Va sottolineato che l’autrice di questa toccante testimonianza (che si riferisce a un’esperienza del 2 febbraio 2006, seguita da una rapida e sbalorditiva guarigione) è cresciuta appunto nell’ambito di una cultura, quella induista, che promuove questo pensiero ed è quindi tanto più attendibile quando ci rivela le proprie riflessioni a riguardo.
Questa recensione non vuole naturalmente essere uno spoiler, ma aggiungerò che, avendo letto la versione originale, la collega Katia Prando ha fatto un ottimo lavoro e che il testo contiene altre illuminanti riflessioni su quanto sia preziosa questa vita, specie se, dopo aver rischiato di perderla, si ha l’opportunità di tornare indietro e condividere ciò che si è vissuto.
La medianità è un talento di pochi o esiste per ciascuno di noi la possibilità di rimanere in contatto con le persone care che ci hanno preceduto nel grande viaggio?
Secondo l’autrice, che ha seguito vari corsi sulla medianità professionale ma è anche un’esperta viaggiatrice astrale, tutti possono mantenere i contatti apparentemente interrotti dalla morte del corpo fisico, e molte sono le testimonianze presentate a supporto di questa tesi.
Il testo, tuttavia, prima di illustrare i metodi proposti per perseguire questo scopo, affronta doverosamente il tema del trapasso e della vita dopo la morte secondo le testimonianze pervenuteci da resoconti medianici e dalle affascinanti scoperte di chi, grazie a un’esperienza di premorte, ha avuto l’opportunità di affacciarsi oltre la soglia.
Inoltre, grazie all’esperienza diretta di contatto con i defunti tramite sogni, sogni lucidi, viaggi astrali ed esperienze mistiche vissuti soprattutto nel corso di questi ultimi venticinque anni, l’autrice presenta le proprie conclusioni sul Mondo dello Spirito e su come questo sia direttamente comunicante con il piano fisico, e ne sia anzi nel contempo emanazione ed essenza, nonostante il fatto che nella vita di tutti i giorni tendiamo purtroppo a considerare queste due dimensioni come compartimenti stagni.
Grazie a queste premesse, scopriamo che i nostri cari sono più che mai vicini a noi e desiderosi di rassicurarci, vegliarci e guidarci.
Al di là delle tecniche in sé, che sono alla portata di tutti, il testo si rivela una fonte di grande conforto non solo per chi ha subito una perdita, ma anche per chi, umanamente, si interroga su questo tema che per tanti versi viene purtroppo considerato un grande tabù.
Pagina dell’autrice: https://www.amazon.com/author/giuliajearyknap
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NOTA IMPORTANTE PER IL LETTORE:
Questo libro è stato aggiornato:chiunque abbia gratuitamente scaricato o acquistato la versione kindle tra il marzo del 2014 e il marzo del 2016 potrà scaricare gratuitamente la versione aggiornata sui propri dispositivi di lettura.
Per chiunque abbia acquistato in quel periodo la versione cartacea e volesse ricevere quella aggiornata, potrà fare richiesta della versione PDF segnalandomi il proprio indirizzo e-mail tramite il Contact Form. Grazie! (8 aprile 2016)
Mi è capitato, anni fa, di ritrovarmi, allorché emergevo dallo stato di sonno, contemporaneamente nel tempo e fuori dal tempo. Questa straordinaria esperienza di risveglio (risveglio in tutti i sensi) risale all’alba del 23 maggio 2008.
Devo precisare, prima di riportarla, che la sera prima ero andata a dormire sapendo di dover tradurre 14 cartelle entro le 7 del mattino, fatto che nella realtà di veglia ordinaria comportava svegliarsi almeno 4 o 5 ore prima dell’orario di consegna (diciamo che avrei dovuto svegliarmi tra l’una e le due di notte). Ma avevo tante altre cose per la testa, sul piano pratico, incluso il fatto di aver quasi fuso il motore nel tardo pomeriggio, a causa di una perdita del radiatore, di essermi nel contempo trovata nell’impossibilità di andare a prendere mio figlio di 11 anni in palestra mentre cercavo freneticamente soccorso in un momento (ore 19:00 circa) in cui tutti i negozi, i distributori di benzina e le officine stavano chiudendo i battenti, il che, insieme ad altri problemi, aveva fatto scivolare la scadenza lavorativa un po’ indietro nella scaletta delle priorità.
Comunque, mi trovavo in uno stato di dormiveglia, intorno alle 4:30 del mattino (e dunque in un orario in cui avevo già maturato tre ore di ritardo rispetto ai miei impellenti programmi), quando ho cominciato a sperimentare questa lucida consapevolezza di trovarmi simultaneamente nel tempo e fuori dal tempo. Sarebbe stato pressoché folle per me cercare di acquisire questa consapevolezza in uno stato di coscienza ordinario, anche solo un’ora prima, ma da questo punto di vista ero in grado di concepire mentalmente entrambe queste nozioni senza alcuno sforzo, ne’ il bisogno di passare da un punto di vista all’altro.
Le cose (qualsiasi cosa io decidessi di fare) erano contemporaneamente non ancora avvenute e già avvenute. Il motivo per cui non avevo bisogno di passare da un punto di vista all’altro era perché entrambe queste realtà erano per me contemporaneamente vere.
Indugiai in questo incredibile stato di coscienza per un bel po’, concentrandomi su varie situazioni e rendendomi conto che, qualunque scopo mi ponessi, non si richiedeva alcuno sforzo per conseguirlo, perché nel Grande Tempo in cui mi trovavo immersa, era già stato raggiunto.
Persino le mie 14 cartelle, il cui pensiero mi avrebbe fatto saltare istantaneamente giù dal letto in uno stato di panico … erano state già tradotte nel modo e nelle circostanze migliori.
Questo incredibile stato di coscienza fu seguito da un sogno in cui si realizzavano fatti molto positivi, situazioni pratiche che ero in grado di vedere ed esaminare in grande dettaglio: in tutte queste vicende, mi era chiaro che il concetto di fortuna non era che una sfaccettatura della vita, una volta appreso e messo in pratica il segreto del Grande Tempo che per me già all’epoca si riallacciava a quanto stavo da anni studiando su quella che oggi è nota come “la legge di attrazione”.
Le sensazioni che seguirono a quella mattinata piuttosto intensa e impegnativa, e che sono ancora presenti in me ora, sono:
è possibile accedere in un qualsiasi momento al Grande Tempo in cui i nostri scopi sono già stati raggiunti;
un grande senso di rilassamento e la capacità di prendersela con calma, dal momento che non si richiede alcuno sforzo mentale per ottenere una cosa che è già successa;
una rinnovata ondata di energia vitale derivante dalla consapevolezza che qualsiasi scopo (per quanto apparentemente irraggiungibile) sia stato fissato, si è già manifestato nel Grande Tempo, e questo piccolo tempo esiste solo al fine di regalarci un senso di soddisfazione per ciò che si è realizzato.
Questa è stata la più grande conquista per me, da quando avevo cominciato a sfidare il concetto di tempo lineare.
Come lo sfidavo? Dapprima in modo forse infantile, rimandando fino all’ultimo impegni gravosi o noiosi, che andavano però assolutamente assolti entro una scadenza precisa: quando andavo a scuola, per esempio, pur avendo sempre ottimi voti, ero solita dopo un’interrogazione smettere di studiare quella materia specifica, di modo che mi ritrovavo sistematicamente a studiare numerosi capitoli tutti in una volta alla vigilia dell’interrogazione successiva; ricordo anche di aver preparato un esame universitario in una notte.
Infine ho cominciato a cercare situazioni che mi dessero l’opportunità concreta di fermare il tempo.
Già mi era capitato, infatti, qualche mese prima di questa esperienza, di sperimentare un rallentamento del tempo mentre ero impegnata in attività piacevoli, fatto diametralmente opposto a quanto capita abitualmente nella realtà di tutti i giorni. Mi capitava cioè ad esempio, mentre ero a lezione di pittura, immersa nella creazione di un dipinto a olio, che il tempo, invece di “volare” sembrava quasi fermarsi, per permettermi di godere di quel momento così gioioso.
Ma ora, con questa esperienza diretta, mi sembrava di aver acquisito uno strumento estremamente potente per poter compiere qualsiasi cosa. Ho potuto sperimentare di persona la magnificenza del nostro potere creativo e mi basta richiamare alla mente quella consapevolezza speciale, quando mi pongo un obiettivo, per sapere che esso è già stato conseguito.
Ritengo pertanto estremamente importante fissare degli obiettivi, quando ci si sente in uno stato d’animo dinamicamente creativo, e permettere al nostro potere personale di guidarci.
Continuo ad essere convinta che gli stati d’animo contemplativi siano ugualmente preziosi, purché siano il risultato della nostra inclinazione personale del momento.
Tuttavia, fissare degli obiettivi sembra essere una di quelle capacità chiave che veniamo a imparare nel QUI e ORA, con quella che chiamiamo “Incarnazione” e, una volta fatta questa scoperta, uno dei miei desideri più grandi è diventato quello di valorizzarla al massimo.
Inutile dire che il mio lavoro di traduzione quel mattino, che avrebbe in teoria richiesto una porzione notevole di tempo che non avevo, fluì in modo tranquillo e senza rampogne da parte della mia agenzia di traduzioni, che in quella circostanza aveva casualmente fissato l’orario di consegna con notevole anticipo rispetto alle proprie esigenze effettive, cosa che mi fu telefonicamente comunicata prima ancora di mettermi al lavoro.
Ho voluto citare questa esperienza in apertura in quanto considero la consapevolezza di trovarsi fuori dal tempo un fattore cruciale per dare una spiegazione a tanti interrogativi cui il concetto di re-Incarnazione tenta di dare una risposta.
La mia tesi è che il nostro ingresso nel tempo determini da una parte eccezionali opportunità creative e dall’altra tutta una serie di percezioni limitanti e distorte che tuttavia possono in qualsiasi momento, volendo, essere superate grazie alla nostra stessa natura e agli strumenti spirituali di cui siamo equipaggiati
Cio che ho appreso nel corso degli anni successivi
L’esito più importante di questa esperienza e di quelle che mi ci avevano condotta si può sintetizzare in questi quattro punti:
Cominciai a rendermi conto che il momento in cui abbiamo maggior potere nelle nostre vite è sempre ADESSO. Disperdere energie in rimpianti e paure non ci aiuta. Questo è il momento in cui abbiamo il maggior controllo sulle nostre vite, il momento in cui possiamo non solo pienamente apprezzare che significa essere immersi in questa dimensione fisica, ma ottimizzarla e valorizzarla al massimo impiegando il nostro innato spirito creativo. Mi sono anche resa conto di come e perchè quello che chiamo il nostro Io Superiore coglie costantemente i benefici frutti delle nostre esperienze di vita passata, presente E FUTURA, al di là del tempo lineare. Quindi è importante proiettare nel futuro gratitudine e fiducia.
Mi sono resa conto di quanto fossero distorte le nozioni di re-incarnazione e Aldilà qualora queste vengano viste dal punto di vista fisico del tempo lineare e che nel Grande Tempo in cui tutti siamo ugualmente immersi non esiste mai alcuna separazione fra noi e le persone care, sia incarnate che disincarnate, neanche nei momenti più bui.
Ho capito con l’andar del tempo che la meditazione può aiutarci a entrare in uno stato di rilassamento nel quale possiamo avere spontanee intuizioni circa cosa significhi trovarsi fuori dal tempo e acquisire maggior sicurezza in merito alle decisioni che prendiamo quando ci troviamo in uno stato ampliato di consapevolezza.
Da ultimo, ma non da meno, ho imparato a comprendere il vero significato della cosiddetta legge di attrazione, pochè ho appreso che non è sempre sufficiente “richiedere qualcosa” (riconoscendo pertanto che quel qualcosa NON c’è), ma è importante “sapere che quel qualcosa esiste già”. [cfr. Mc 11, 24]
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